Italia's lost Talents

Il Bel Paese si lascia scappare i migliori talenti. La mancanza di prospettive per i giovani laureati ne è la causa principale. Lo Stato tenta disperatamente di mettere fine a questa fuga massiva.

Attualmente in Italia il tema dell'immigrazione è uno dei più dibattuti. Immagini di clandestini che attraversano il Mediterraneo su barconi, tragici incidenti durante le traversate e politici che discutono sulle misure da adottare a riguardo invadono gli schermi e le testate dei giornali.

Ma già da diversi anni il Bel Paese è interessato da un altro fenomeno migratorio, di cui purtroppo si sente parlare meno: una vera e propria diaspora, una scelta spesso «obbligata» per un numero crescente di giovani. Solo nel 2014, 100.000 persone hanno lasciato il Paese. È la migrazione intellettuale, più comunemente chiamata «fuga dei cervelli».

"Italents", un fenomeno unico 

È vero, non è il primo e il solo flusso migratorio italiano. Il paese è stato infatti interessato da due grandi ondate migratorie: la grande emigrazione tra la fine dell'Ottocento e gli anni Trenta (soprattutto verso l'America) e l’emigrazione europea, a partire dagli anni Cinquanta (verso Francia, Svizzera, Germania, Belgio). Ieri, come oggi, le persone erano spinte soprattutto da motivi economici. Tuttavia, la «fuga» attuale ha dei tratti distintivi che la rendono assolutamente imparagonabile a qualsiasi ondata migratoria passata.

La differenza sta nel profilo dei candidati e nel loro background formativo, senza alcun dubbio. Se in passato erano persone poco qualificate o analfabete a fare le valigie e a fuggire all'estero per cercare fortuna come lavoratori manuali, oggi, invece, si tratta di giovani altamente qualificati, che, dopo aver ottenuto una laurea o addirittura un dottorato, si trovano costretti ad espatriare. Secondo l’Istat il 30% dei giovani emigrati sono laureati. Una grande perdita di capitale umano. Un vero fallimento per lo Stato.

Oltre al crescente numero di Italiani che lascia il Paese, ciò che rende preoccupante questo fenomeno è la mancanza di un flusso di cervelli in entrata. L’Italia è una grande esportatrice di talenti, di menti brillanti, che però non attrae ricercatori e altre persone qualificate provenienti dall’estero. Lo Stato italiano spende per istruire i suoi giovani, senza poi ottenere il ritorno su questi investimenti in capitale umano. L’istruzione degli italiani espatriati dal 2008 al 2014 è costata allo Stato 23 miliardi di euro 

Molteplici cause 

Di certo la colpa non è dell'Università. Lo dimostra il fatto che i cervelli italiani sono bene accolti e apprezzati all’estero. Gli «Italents» sono vittime della crisi economica in senso ampio. Vittime del mal funzionamento dello Stato, di decisioni politiche contestabili e di una mancata lungimiranza, soprattutto in materia di incentivi alla ricerca fondamentale.

Elisa, ricercatrice presso il Centro nazionale di ricerca scientifica (CNRS) di Marsiglia, ricorda ancora il giorno in cui il suo superiore, in Italia, le aveva annunciato che «non c’erano più fondi e che per i successivi 15 anni sarebbe stato difficile ottenere un posto fisso all’Università». Partire era dunque l’unica scelta. 

Sottopagati rispetto alla media europea e in costante lotta per ottenere contratti a tempo indeterminato, i giovani italiani devono subire oltretutto una radicata gerontocrazia che assicura ai lavoratori più anziani i posti più alti. Maggiori possibilità di fare carriera, stipendi più allettanti e meritocrazia. Queste le ragioni principali che li spingono ad oltrepassare le frontiere. 

 I giovani si mobilitano 

A tal proposito, gruppi di giovani laureati hanno dato vita a movimenti di denuncia. Frutto di questa unione nella protesta è il “Manifesto degli espatriati” che, in 10 punti, sottolinea l'enorme divario tra le prospettive offerte in Italia e quelle offerte all’estero e riassume quello che è il cuore del problema: autoriproduzione della classe dirigente, natura delle offerte di lavoro e degli stipendi, nepotismo, raccomandazioni, mancanza di fiducia nello spirito di iniziativa dei giovani. Questi gruppi combattono affinché « L’Italia torni ad essere un Paese per giovani, meritocratico, moderno e innovatore. Affinché esca dalla condizione di paese del Terzo Mondo, conservatore e ipocrita ».

L'Italia ha tutto l’interesse a trovare delle soluzioni, per i suoi giovani e per sé stessa. Perché non ci sarà alcun progresso collettivo senza una giusta considerazione dello sviluppo e della realizzazione individuali.

Lo Stato lancia la Legge «Controesodo»

Il Parlamento italiano a Roma

Per far fronte al flusso di partenze lo Stato ha messo in campo la Legge «Controesodo».

Varata nel 2010, resterà in vigore fino alla fine del 2015 offrendo a chi rientra 3 anni di agevolazioni fiscali: le donne pagano le tasse sul 20% dello stipendio, gli uomini sul 30%. È indirizzata ai laureati italiani che avevano meno di 40 anni nel 2009 e che hanno studiato o lavorato all'estero per almeno due anni. Tuttavia diversi punti critici sono venuti a galla.

Tra questi, la durata limitata della legge, la proroga ancora incerta e soprattutto l’obbligo per coloro che rientrano di restare almeno 5 anni.

È per questo che le associazioni di rappresentanza dei «cervelli in fuga» lottano per ottenere delle modifiche e per rendere questa legge più appetibile ed efficace.

« la legge Controesodo deve diventare uno strumento ordinario, non una tantum »

Come afferma Luigi Bobba, Sottosegretario al ministero del Lavoro con delega alle Politiche giovanili, «la legge Controesodo deve diventare uno strumento ordinario, non una tantum. I processi di andata e ritorno devono essere incoraggiati in modo strutturale e non occasionale»

Inoltre, abbassare le tasse o aumentare gli stipendi non è abbastanza. I giovani talenti italiani hanno bisogno di più spazio, più prospettive e più fiducia. La classe dirigente ne è consapevole. Lo testimoniano le parole che il présidente del Consiglio Matteo Renzi ha rivolto agli studenti italiani dell’Università di Georgetown (USA) la scorsa primavera: «Non vi dirò di tornare in Italia, come in molti l’hanno fatto, ma vi assicuro che se e quando desidererete tornare, troverete un paese cambiato».

La strada è ancora lunga. Infatti, far rientrare i giovani è una cosa, dar loro i mezzi per restare è un’altra.

« Ci ho provato,
e ce l'ho fatta ! »

Nel 2008, una certa forma di protesta con corsi fuori, in Piazza Farnese, a Roma.
Di fronte alla mancanza di opportunità in Italia, Elisa, Emilia e Gianluca hanno scelto la Francia e Marsiglia. Parola di Italents

Abbiamo raccolto le testimonianze di alcuni tra i tanti cervelli italiani che attualmente vivono e lavorano a Marsiglia, una città che fin dai tempi antichi è stata un crocevia di popoli e culture, un privilegiato luogo d'approdo e di scambio, un ponte tra l’Europa continentale e il Mediterraneo. Incontro con Elisa, 34 anni, nata ad Agropoli (Salerno), ricercatrice presso il Laboratoire de Bioénergétique et Ingénierie des Protéines (BIP) al CNRS di Marsiglia ; Emilia, 35 anni, nata a Napoli, ricercatrice presso il Laboratoire de Chimie Bactérienne (LCB) al CNRS di Marsiglia e Gianluca, 39 anni, nato a Mazara del Vallo (Trapani), terapeuta. Tra soddisfazioni e nostalgia. 

Una formazione in Italia 

Elisa : « Mi sono laureata in Chimica e Tecnologie farmaceutiche all’Università di Bologna nel 2006. Successivamente ho vinto una borsa di dottorato e ho iniziato il mio percorso di ricerca. Dopo sei mesi a Miami, nel 2010 sono arrivata a Marsiglia per svolgere un Post-doc al CNRS. Nel 2014 ho vinto il concorso nazionale e ho ottenuto un posto come ricercatrice al CNRS ». 

Emilia : «Mi sono laureata in Biologia con indirizzo Biologia molecolare e Genetica all’Università di Napoli e successivamente ho svolto un dottorato in Microbiologia. Dal 2006 al 2011 ho fatto un post-doc all’Università di Berkeley in California. Attualmente lavoro come ricercatrice al CNRS di Marsiglia ». 

Gianluca : « Mi sono laureato nel 2000 in Scienze della Comunicazione e dello Spettacolo a Milano. In seguito ho lavorato all'Istituto Italiano di Cultura di Marsiglia portando avanti allo stesso tempo un progetto di ricerca universitario. Dopo aver ottenuto un Master in Antropologia e Mediazione culturale del Mediterraneo, ho lavorato come lettore di Italiano all’Università di Aix-en Provence e fondato una scuola di Italiano a Marsiglia. Nel 2011 ho iniziato gli studi di Medicina cinese. Oggi lavoro come terapeuta ». 

Perchè proprio la Francia
e Marsiglia ? 

Elisa : « È Marsiglia che ha scelto me. Durante il dottorato a Bologna il mio capo mi aveva detto che non c’erano più fondi e che per i successivi quindici anni sarebbe stato difficile ottenere un posto fisso all’Università. Per realizzarmi come ricercatrice l’unica opportunità era andare all’estero ». 

Emilia : « Tra le opzioni che avevo il CNRS di Marsiglia era quella più interessante. Il CNRS è infatti una delle maggiori istituzioni europee in materia di ricerca. In più a Marsiglia, tramite un concorso nazionale, mi veniva offerto un posto a tempo indeterminato, mentre in Italia mi avevano offerto posti a tempo determinato ». 

Gianluca : « Ho avuto la possibilità di portare avanti un progetto di ricerca all’estero e ho scelto Marsiglia in quanto città del Mediterraneo (avevo lavorato in precedenza sul cinema del Mediterraneo) e perché sono rimasto subito colpito dalla sua bellezza inconsapevole, poco conosciuta dai turisti ». 

Cosa ti ha offerto e cosa continua ad offrirti la Francia ? 

Elisa : « La Francia mi ha permesso di realizzare un sogno : portare a termine la mia formazione e diventare ricercatrice, cioè fare il lavoro per cui avevo studiato. Marsiglia mi ha accolta senza discriminazione e soprattutto mi ha dato l’opportunità di provare, possibilità che non avevo in Italia. Oggi mi permette di portare avanti un progetto di ricerca fondamentale. Inoltre vivere a Marsiglia mi ha fatto capire che definirmi Italiana mi sta stretto. Ho realizzato di essere Mediterranea: le mie tradizioni e la mia educazione hanno tanto in comune con quelle degli altri paesi del bacino ». 

Emilia : « La Francia mi ha prima di tutto permesso di lavorare in un campo, quello della ricerca fondamentale, che lo Stato italiano non finanzia poiché lo ritiene meno importante rispetto alla ricerca applicata. Un grave errore, dato che la ricerca fondamentale è alla base di qualsiasi altra ricerca ». 

Gianluca : « La Francia mi ha permesso di fare tante esperienze che in Italia non avrei potuto fare. Mi riferisco alla varietà di lavori, al fatto che da quando sono qui, cioè dal 2000, ho sempre lavorato (cosa non scontata, soprattutto oggi) e che le mansioni che ho svolto sono sempre state corrispondenti alle mie qualificazioni. Inoltre, la Francia mi ha permesso di riconvertirmi dopo il licenziamento grazie a dei corsi di formazione ». 

I punti forti della Francia rispetto all'Italia ? 

Elisa : « Più che altro direi i punti forti di Marsiglia. Qui è difficile sentirsi stranieri. C’è un tale mélange di culture che è facile sentirsi a proprio agio. È questo il suo punto di forza: accogliere i viaggiatori erranti!». 

Emilia : « La qualità della vita è migliore: lo Stato offre più garanzie ed aiuti, è tutto più funzionale. Ad esempio qualora un giorno non avessi abbastanza soldi, so che non sarò lasciata allo sbaraglio. Inoltre qui in Francia la professione del ricercatore è considerata in maniera molto più dignitosa, ed è pagata meglio ». 

Gianluca : « La Francia offre più possibilità. Le condizioni di creazione d’impresa per chiunque desideri avviare la propria attività sono sicuramente più vantaggiose. C’è più praticità, lungimiranza e flessibilità. In generale, penso che una persona che abbia vissuto con poche risorse in Italia possa riuscire in Francia a sfruttare al meglio tutte le opportunità ». 

Mai pensato di tornare in Italia ? 

Elisa : « Più volte mi sono posta la domanda. Per ora la risposta che mi do è No. Lavorativamente parlando sarebbe impossibile. Ma è ovvio che la mia famiglia e gli amici più cari mi mancano infinitamente. Stare in Francia è una scelta consapevole, ma anche molto dolorosa. Mi fa male aver lasciato la barca che sta affondando e mi fa male vedere che il mio paese non riesce a tenere le persone qualificate. Mi domando : "Ma allora chi potrà salvare l’Italia?"». 

Emilia : « Non mi sono mai preclusa la possibilità di tornare. Ma in questo momento sono convinta di non poter avere di meglio dal punto di vista lavorativo. In più ora mi sto costruendo una famiglia qui, sto mettendo radici. Comunque sia, se un giorno non fossi più contenta della mia vita, tornerei in Italia. Perché per realizzarsi bisogna essere felici». 

Gianluca : « Sì, per un periodo avevo pensato di tornare… ma a certe condizioni! Allora lavoravo nel settore della cultura e conoscevo delle persone impiegate nel mio stesso campo in Italia che erano ancora in attesa di un contratto a tempo indeterminato o di uno stipendio dignitoso. Questo ovviamente mi ha bloccato. Non avrei mai lasciato il mio lavoro qui per trovarmi senza certezze nel mio Paese ». 

TESTO E INTERVISTA REALIZZATI DA FEDERICA MILEO