L'impero dei Rockefeller

Da John Davison senior a David: una dinastia di miliardari, tra petrolio, banche, politica e filantropia. Ora, la svolta ambientalista...

Dalla fondazione della Standard Oil nel 1870 fino alle manifestazioni ambientaliste degli ultimi anni: si scrive Rockfeller e si legge successo, soldi, potere. L'ultimo ad andarsene, nel marzo del 2017, è stato David, uno dei cinque nipoti del capostipite John Davison Rockefeller: aveva 101 anni e per dodici è stato a capo della Chase Manhattan Bank, l’istituto che ha dato vita a Jp Morgan

Ma la storia dei Rockefeller, ritenuti da tanti la dinastia più potente nella storia degli Stati Uniti, parte da lontano. Dalla seconda metà dell'800, quando si dice che John Davison, appena sedicenne, investì i suoi primi guadagni in una raffineria a Cleveland. Interessante immaginare un parallelo con l’epoca contemporanea: oggi, un ragazzino di sedici anni, con le proprie forze, non sarebbe nemmeno in grado di comprare un motorino con cui girare con gli amici. Ma tant’è. Rockfeller senior prima fondò la Standard Oil e strinse accordi con le compagnie ferroviarie, poi creò un cartello che lo portò a raffinare il 95% del petrolio statunitense, dove l'unica legge valida era quella che portava il suo nome, mentre i concorrenti venivano inghiottiti in una spirale senza scampo.

Per i suoi contemporanei, compreso il presidente americano Theodore Roosevelt, John Davison era una "gran delinquente", tale era la spregiudicatezza con cui eliminava la concorrenza. Ma quando gli Stati Uniti godevano di luce riflessa per la prosperità della Standard Oil, il governo faceva un passo indietro: il patriottismo e la grandezza della nazione prima di tutto.

Il "Re del petrolio", però, non fu solo sinonimo di capitalismo, monopolismo spietato, minacce e corruzioni vere o presunte, perché a inizio Novecento, dopo lo scioglimento del cartello dettato dalla Corte suprema, promosse l'istituzione filantropica più grande al mondo: la Fondazione Rockefeller, per "promuovere il benessere dell’umanità in tutto il mondo".

"L'unica domanda da porsi a proposito della ricchezza è: cosa ci faccio? "John D. Rockefeller senior

Dal capostipite ai discendenti la parola d'ordine non è stata solo "produrre ricchezza". Oltre al petrolio, infatti, ci sono state la politica, le relazioni con Paesi “nemici” e non, l’arte e la tutela ambientale. Ad esempio, John Davison Rockfeller junior, unico figlio maschio del fondatore, diventò uno dei più grandi proprietari immobiliari di New York, sfruttando il ribasso dei prezzi che invase gli States nel post-crisi del ’29: il famoso Rockefeller Center lo si deve a lui.

Così come si deve a lui l'"incipit” della costruzione del MoMa, il museo di arte moderna, sempre nella Grande Mela, portata a termine dalla moglie Abby e da David, l’unico tra i suoi figli che si dedicò totalmente agli affari.

"Il successo negli affari richiede addestramento e disciplina e duro lavoro. Ma se non sei spaventato da queste cose, le opportunità sono oggi grandi tanto quanto lo siano mai state". David Rockefeller

L'ultimo dei Rockefeller fu anche filantropo e uomo influente per le relazioni internazionali degli Stati Uniti con Paesi notoriamente "nemici", come Cina e Russia: amico di Deng Xiaping, riuscì a farsi aprire anche le porte del Cremlino per incontrare Breznev e Eltsin. Senza dimenticare i buoni rapporti con Mandela, Kissinger, Agnelli, ma anche quelli meno chiari e più criticati con Pinochet.

Ma il segno più importante (in negativo) lo lasciò sul finire degli anni '70, quando convinse il presidente Carter a dare asilo allo Scià di Persia, Reza Pahlavi, deposto dalla rivoluzione khomeinista. Risultato? Cinquantadue cittadini americani trattenuti in ostaggio per più di un anno nell’ambasciata di Teheran, che costarono a Carter le presidenziali dell’80, vinte da Reagan.

D'altronde, la politica fu affare del fratello di David, Nelson, governatore di New York dal ’59 al ’73 e vice del presidente Ford dal ’74 al ’77. 

Gli ultimi discendenti di John Davison Rockefeller, nonostante una storia legata all'oro nero, hanno operato una svolta ambientalista. Con tanto di manifestazioni, come quella del 2014 a New York a cui ha partecipato anche Valerie Rockefeller, attiva nella fondazione filantropica Rockefeller Brothers Fund. "Abbiamo l’imperativo morale di preservare un pianeta in buona salute", aveva spiegato Valerie in quell’occasione.  

La fondazione, inoltre, si è unita al movimento Global Divest-Invest, partito dai campus universitari, che oggi conta 180 istituzioni e circa 700 persone: la ratio è quella di vendere azioni di aziende che fanno profitti con il carbone e con le sabbie bituminose, due delle fonti di emissione più inquinanti. Ma i suoi discendenti sostengono che non si tratti di un tradimento imprenditoriale, bensì di portare avanti la filosofia del capostipite: "Siamo convinti che se Rockefeller senior fosse qui oggi, da astuto uomo d'affari orientato al futuro, si starebbe muovendo fuori dal business petrolifero per investire nell’energia rinnovabile e pulita". In ogni caso, è molto difficile che la vendita delle azioni avrà ripercussioni sui grandi gruppi petroliferi, ma alcuni attivisti lo paragonano addirittura al boicottaggio anti-apartheid delle aziende che facevano affari in Sudafrica negli anni Ottanta.

Con la morte di David Rockefeller si chiude un'epoca, ma non quella dell’egemonia industriale della East Coast sulla West, finita già da una ventina d’anni complici le crescite di Microsoft, Google, Apple e le imprese della Silicon Valley. A scomparire, semmai, è un personaggio che ha segnato un’epoca, quella precedente, fondata sull’abbattimento delle barriere finanziarie e su una fitta rete di relazioni internazionali, proprio mentre l’amministrazione Trump si è incamminata nella direzione opposta: protezionismo, barriere più alte e riforme contrarie al modello della banca universale.