Pioggia

Tutta la verità su di me #21

Era già una settimana che non pioveva e pareva che l'estate si fosse finalmente decisa ad arrivare. Malgrado fossimo a luglio inoltrato, per i due mesi precedenti c’erano state giornate nuvolose, piogge e temporali continui e non avevamo mai avuto più di tre giorni consecutivi di sole.

Con la mia ragazza avevamo deciso che potevamo azzardarci a rimettere il dondolo sul terrazzino di casa sua per goderci la brezza che saliva dal lago nelle serate estive. Scendemmo in cantina e recuperammo i pezzi che avevamo smontato l’autunno precedente e che avevo accuratamente incartato nel cellophane ed etichettato in base al contenuto. Ci mettemmo all’opera sul terrazzino, mentre il sole della tarda mattinata iniziava a infuocare la facciata bianca del palazzo.

Impiegammo un po’, nonostante io avessi fatto dei disegni quando lo avevo smontato, segnando esattamente la sequenza in cui i pezzi andavano assemblati. Alcuni dei bulloni, infatti, erano duri da stringere e c’erano dei tubi che andavano incastrati con un complicato gioco di equilibri. Faceva caldo e quando terminammo eravamo inzuppati di sudore. La mia ragazza indossava una t-shirt di cotone a fiori molto leggera, che lasciava intravedere i seni sotto gli aloni di bagnato, ed era deliziosa a vedersi. Alla fine sistemammo il tettino e i cuscini e ci ritenemmo soddisfatti del lavoro.

"Beh, ora potremo sederci qui la sera e dondolarci al fresco invece di stare tappati dentro casa ad aspettare che spiova" disse lei.

A me veniva in mente che sul dondolo potevamo fare anche dell'altro. Rientrammo per farci una doccia prima di preparare il pranzo, e lei mi chiese se poteva farla per prima.

“Devo farmi il riflessante ai capelli” spiegò, “e ho bisogno di almeno una mezzora per lasciarlo in posa. Ti spiace?”

Le risposi che non c’erano problemi e che poteva andare lei. Nell’attesa ascoltai un po’ di musica alla radio. Mandavano Pray for rain dei Massive Attack e mi divertii ad ascoltare i versi della canzone che evocavano la pioggia mentre io ero sollevato che se ne fosse finalmente andata. Dopo un po’ la mia ragazza tornò in salotto, in calzoncini e maglietta e con la testa avvolta in un asciugamano. Mentre entravo in bagno sentì che mi gridava dietro:

“Ah, senti Alex! Mi si è rotta la bottiglia dello shampo e ho messo il contenuto in un bicchiere sul portasapone.”

Mi spogliai velocemente, mi tolsi gli occhiali e dopo qualche secondo ero sotto il getto caldo. Cercai la bottiglia dello shampo, poi mi ricordai di quello che mi aveva detto la mia ragazza. Ma con i vapori che avevano riempito la stanza e senza occhiali non riuscivo a trovare il contenitore in cui lei aveva messo lo shampo. Dopo qualche tentativo allungai una mano su una delle mensole e trovai quella che doveva essere una tazza, la afferrai e mi insaponai la testa con il contenuto. Sciacquai, insaponai di nuovo, poi proseguii a frizionarmi il corpo per dieci minuti buoni. Infine mi sciacquai e uscii dalla doccia.

Capii che qualcosa non andava quando i vapori iniziarono a dissolversi e gli occhiali smisero di essere appannati. L’immagine nello specchio aveva qualcosa di strano, emanava bagliori inconsueti. Mi passai l’asciugamano sulla testa, e quando lo guardai mi accorsi che aveva un colore rosso sangue. Alzai gli occhi e guardai la mia immagine riflessa, che ora riuscivo a vedere nitidamente; in quel momento la mia ragazza entrò, si fermò sulla soglia e rimase a bocca aperta a guardarmi. I miei capelli erano completamente rossi. Non color rame, o con dei leggeri riflessi, ma di un rosso fuoco intenso.

“Oddio, Alex. Ma con che cosa ti sei lavato i capelli?” disse alla fine, quando riuscì a parlare.

“Ma... con lo shampo che avevi messo nella tazza...”

Lei si portò una mano alla bocca.

“Ma no! L’avevo messo nel bicchiere di carta, sul portasapone. Nella tazza sulla mensola c’era la mia tintura per capelli!”

“Oh, cazzo! E adesso?”

“Lavali subito di nuovo!”

Rientrai sotto la doccia e li lavai due, tre, quattro volte. Ma per quanto facessi il colore non se ne andava: anzi, assumeva un tono più vivo e sembrava essersi fissato saldamente ai capelli. Ci mettemmo a pensare a come risolvere la situazione, ma non ci venivano in mente soluzioni accettabili.

“Magari potresti andare dal parrucchiere e farti un’altra tintura per tornare biondo.”

“Lascia perdere. Sono sicuro che mi ritroverei color platino. Cerchiamo un’altra strada.”

“Beh....” esitò lei “queste tinture durano una quindicina di giorni. Se fai una doccia la mattina e una la sera, in capo a quattro giorni il colore si sarà sbiadito e tornerai quasi normale.”

“Quattro giorni? Lunedì ho la conferenza annuale dell’Automated Software Engineering, non posso andarci con i capelli alla John Lydon!”

Ci guardammo scoraggiati, poi andammo in cucina a prepararci il pranzo. Mentre mangiavamo lei mi guardava ridacchiando.

“Certo che sei strano così. Hai l’aria di essere uscito da un documentario sui punk.”

“Non è divertente. Se non troviamo una soluzione dovrò rasarmi a zero e la cosa non mi piace per niente. Rivoglio i miei capelli naturali.”

Lei si passò un dito sulle labbra mentre posava il bicchiere di aranciata.

“Non c’è fretta. Sai che non ho mai fatto l’amore con un punk?”

Andammo a letto senza finire di mangiare e passammo un paio d’ore a fare l’amore senza interruzione. Malgrado tutto andasse bene mi sentivo un po’ strano, specialmente quando lei mi passava le mani tra i capelli: anche se non potevo vederli, sapevo che non erano del mio colore e mi sembrava che un altro uomo avesse preso il mio posto e si stesse scopando la mia ragazza, mentre io non potevo fare nulla per impedirlo. Ci addormentammo con la calura estiva che diventava densa e insopportabile, e io sognai di trovarmi a un raduno punk, dove una folla urlante di ragazzi iniziava a pogare selvaggiamente e mi travolgeva mentre tentavo inutilmente di aprirmi un varco e fuggire. Mi svegliai di soprassalto, sudato, e guardai la sveglia.

“Giuda ladro! Ho un appuntamento con un cliente tra dieci minuti e me n’ero dimenticato!”

Alla mia esclamazione la mia ragazza aprì gli occhi, intorpidita.

“Mh-mh?”

Io iniziai forsennatamente a vestirmi, mentre lei sbadigliando si alzava dal letto e andava a recuperare gli slip che erano andati a finire sul pavimento dall’altra parte della stanza.

“Dove hai questo appuntamento?”

“In centro, alle quattro, proprio dietro al Municipio.”

“Non ce la farai mai con la macchina. Ti accompagno in motorino.”

Mi girai e vidi che era già completamente vestita, pronta per uscire e non aveva l’aria di una che si era appena destata da un sonno profondo. Le donne mi stupiscono sempre. Mentre stavamo già sulla porta vidi la mia immagine allo specchio dell’ingresso.

“Non posso uscire così. Dammi almeno un berretto, non posso farmi vedere dal mio cliente in queste condizioni!”

Lei ci pensò un po’, poi mi disse che non aveva un berretto.

“Potresti metterti una felpa col cappuccio” suggerì.

A me l’idea di mettermi una felpa con una temperatura di 30 gradi non entusiasmava in modo particolare, ma ero già in ritardo e non avevo altra scelta. In motorino sudai copiosamente sotto al casco, mentre la mia ragazza guizzava nel traffico schivando semafori rossi e superando autobus accostati alle fermate. Giunti nei pressi del Municipio scendemmo e ci togliemmo i caschi, e io indossai la felpa e nascosi la mia testa rossa sotto il cappuccio. Incontrai il mio cliente, che mi guardava un po’ interdetto: l’aria era afosa sotto un cielo di lanugine grigia, e io ero imbacuccato come un terrorista informatico mentre tutti indossavano t-shirt e canottiere. Insomma, in qualche modo riuscii a concludere l’appuntamento di lavoro e tornai dalla mia ragazza che mi aspettava all’angolo del palazzo.

“Allora, è andato tutto bene?”

“Se per bene intendi dire che non mi ha preso una sincope per il caldo, allora sì.”

“Dammi retta, andiamo dal mio parrucchiere...”

“No, andiamo a casa, voglio farmi una doccia e cercare in rete qualche rimedio per questi dannati capelli.”

Risalimmo sul motorino; alcune gocce mi colpirono il casco. Stava cominciando a piovere. Arrivammo a casa della mia ragazza e udimmo dei tuoni che si facevano sempre più vicini. Mentre salivamo le scale la pioggia aumentò d’intensità e quando entrammo stava già diluviando.

“Dobbiamo togliere i cuscini e il tettino del dondolo” disse lei preoccupata.

Uscimmo sul terrazzino sotto la pioggia scrosciante. Io avevo ancora addosso la felpa ma mi ero tolto il cappuccio, e aiutai la mia ragazza a smontare il tettino e le coperture in tessuto. La pioggia continuava a venire giù con violenza, e dissi alla mia ragazza di ripararsi all’interno per non bagnarsi ancora di più, ma lei non volle sentire ragioni. Mi sentivo come se mi rovesciassero addosso secchiate d’acqua, l’aria era opaca come nebbia e i miei occhiali bagnati. I tuoni si susseguivano fragorosi ed era un continuo di lampi accecanti. A un certo punto lei gridò allarmata:

“Alex, ti sei fatto male? Sanguini!”

Mi fermai e mi guardai addosso, senza capire, ma non trovai tracce di sangue sul mio corpo. Lei indicava il pavimento; abbassai gli occhi e vidi una scia rossa che scorreva verso il chiusino. Guardai di nuovo la mia ragazza, poi lei esclamò:

“Ma sono i capelli! La tinta si sta sciogliendo!”

Mi passai le mani sulla testa e me le ritrovai color ruggine. Un tuono vicinissimo ci scosse, poi lei si mise a ridere, e anch’io risi. I getti violenti d’acqua lavavano via il colore rosso della tinta, e io strofinavo i miei capelli cantando e urlando come se mi trovassi sotto la doccia, mentre lei rideva: se qualcuno ci avesse visti, ci avrebbe presi per matti.

Piovve ancora per parecchi minuti e noi restammo sotto l’acqua finché non cominciammo a rabbrividire dal freddo. Allora rientrammo, sempre ridendo, e andammo ad asciugarci e a farci un tè caldo. I miei capelli sembravano incollati con la gelatina, ma erano di nuovo del loro colore naturale. Bevemmo il tè sul divano, mentre fuori il temporale diminuiva di intensità, e guardammo insieme l’ultimo episodio della nostra serie TV preferita. Dopo l’episodio c’era in programma un concerto di una rock band. Lo guardammo per alcuni minuti poi decidemmo di spegnere il televisore. Rimanemmo un po' in silenzio e chiusi gli occhi. Quando li riaprii mi accorsi che lei stava fissando la mia testa. La guardai con aria interrogativa, e lei continuò il suo lungo esame. Alla fine parlò.

“Sai, non mi dispiacevi con i capelli rossi."

"No?" 

"No."

"Perché?"

"Mi è sembrato di scopare con un altro.”

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