Strategie di allontanamento

Tutta la verità su di me #11

"Di solito inizio lentamente, in maniera quasi impercettibile. Un po' di commenti in meno, una maggiore distanza di tempo tra una risposta e l’altra. Poi dirado sempre di più i like fino a farli scomparire quasi del tutto - ma non completamente, faccio attenzione a metterne uno ogni tanto, così a caso, senza che il post o la foto a cui lo metto abbia un significato particolare. La stessa cosa la faccio con le comunicazioni private: faccio crescere gli intervalli di tempo tra i messaggi, tanto una giustificazione plausibile ce l’ho sempre - un picco di lavoro, delle urgenze, un imprevisto, cose così. Un distacco lento, quasi soffice, come se fosse una cosa del tutto naturale, e loro quasi non se ne accorgono. L’errore da evitare è scomparire all’improvviso, o darci un taglio in maniera esplicita, perché tra di loro si conoscono tutte, si parlano e sarebbe una cattiva pubblicità. Con questa strategia, invece, le convinci che sia una loro decisione, e inoltre ti lasci aperta una porta nel caso volessi ritornare ogni tanto a farci due chiacchiere o un po’ di sesso in videochat." 


Io non sono capace di strategie. Così ascolto con interesse Gualtiero che mi spiega quella che lui definisce "strategia di allontanamento da una relazione virtuale". Preciso che l’espressione relazione virtuale non mi piace, perché di virtuale c’è solo l’interfaccia, per il resto ci sono persone di carne, sangue e spirito ed emozioni - desideri, incazzature, delusioni, insomma virtuale un paio di palle. Comunque. 

Gualtiero si è messo a raccontarmi delle sue storie nate, cresciute e morte sul web mentre aspettiamo che il software si carichi per verificare dei bug che ci hanno segnalato. Le sue storie con donne che non ha mai incontrato e non ha mai visto se non attraverso lo schermo del tablet o del computer. Ammiro la disinvoltura con cui Gualtiero gestisce le sue storie con sconosciute, io non ne sarei capace. Perché, come ho detto, non sono in grado di applicare una strategia, lo trovo complicato e faticoso, per me è già in troppo impegnativo stare dietro ai miei schemi mentali. Lui però è fatto così, riesce a districarsi costruendo mondi e comportamenti che a me non passerebbero mai per la testa; è soggetto a rapide fiammate di entusiasmo e altrettanto rapidi e bruschi cali di interesse per qualsiasi cosa che non siano l’informatica e le letture scientifiche. In poche parole, si annoia. 

Mentre il software finisce di caricarsi cerco delle risposte agli interrogativi che mi frullano nella testa. 

“Con Nadia, però, non posso applicare la tua strategia, perché è lei che si sta allontanando” gli dico. 

“Stai dicendo che anche lei applica il metodo smetto di cagarti progressivamente?” 

“Sì, è così” ammetto. 

“Allora cancellala.” 

Lo ascolto in silenzio. 

Il programma ha completato il caricamento e iniziamo il testing, e mentre lavoriamo lui conclude: 

“Cancellala, chiudi, senza spiegazione. Via, finito. Non merita che ci perdi ancora del tempo.” 

Il termine cancellare mi evoca un foglio di carta e una gomma, è sempre stato così, non riesco a pensare a qualcosa d’altro. Se avesse usato il termine inglese erase sarebbe stato diverso, è una parola neutra che non mi evoca nulla, I can erase her dalla mia cerchia di amici, ma “cancellare”? Da quale foglio? 

Passano un po’ di giorni. Con Gualtiero non siamo più tornati sull’argomento, non mi ha chiesto come va con Nadia e se poi l’ho cancellata, non è per sua natura un tipo curioso. Ma io non ho smesso di pensare a lei e alla strategia di allontanamento. 

Così stasera, verso mezzanotte, mi sono messo a disegnare mentre ascoltavo musica dal computer. Dai diffusori usciva la voce di Marie Fisker con Ghost of love. Era da un po’ che non disegnavo, ma stasera ho sentito che ne avevo voglia. Ho usato, come sempre, la matita grigia, e dopo qualche schizzo a caso di paesaggio ho alzato gli occhi e sul mio salvaschermo scorrevano le foto di Nadia. Allora ho fermato l’immagine su un primo piano e l’ho disegnata. Ho fatto un ritratto vivo, realistico, con chiaroscuri perfetti, una delle cose più belle che sia uscita dalla mia matita negli ultimi mesi. 

Sono rimasto a guardarlo per due minuti. Poi cinque. Poi quindici. I minuti sono diventati venti. Il brano di Marie Fisker girava in loop nel frattempo. Poi un ticchettio di gocce sui vetri mi ha scosso dal torpore della mia concentrazione. Sullo schermo del mio telefono non c’erano notifiche di messaggi. 

E’ stato allora che ho aperto il cassetto e ho preso una gomma nuova, bianca e morbida, ancora intonsa e con gli spigoli ben definiti. Ho iniziato a passarla sul foglio, meticolosamente, con cura, partendo dall’alto. Ho passato la gomma sulla sommità dei capelli, sulla fronte, sulle orecchie, sul naso, sulle guance, sulle labbra e via via sono sceso, eliminando ogni traccia dei segni di matita, ogni traccia del suo bel viso. Via gli occhi, via il mento, via le spalle, via la scollatura del vestito, via i lunghi capelli inanellati, via le ombre, via le luci, via i chiaroscuri. Ho fatto un lavoro pulito, senza arricciare la carta, soffiando via i trucioli e maneggiando la gomma in modo da non sporcare con la mano. 

Alla fine davanti avevo solo il foglio. 

Bianco. 

Senza Nadia. 

Lei non c’era più. 

Avevo una strana sensazione tra l’euforico e il doloroso. Ma mi sembrava di essermi tolto un peso, anche se da qualche parte sentivo che quel peso era una parte di me, come un braccio, o una gamba, o un organo interno. Ma l’avevo fatto. 

L’ho fatto. Ti ho cancellata, Nadia. 

Poi ho aperto il salvaschermo e ho buttato nel cestino le sue foto.

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