La caffettiera

Tutta la verità su di me #18

Per un periodo ho avuto una ragazza di una decina d'anni più grande di me, in una città in cui vivevo temporaneamente per motivi di lavoro. La mia società mi aveva mandato a stare in quella città per alcuni mesi per coordinare l’apertura di una nuova filiale, e mi aveva trovato come alloggio una villetta piccola ma confortevole appena fuori dalle mura del centro storico. Io tornavo a casa per il weekend e il resto della settimana dovevo alzarmi molto presto la mattina, ma avevo il vantaggio che quasi sempre dopo le quattro del pomeriggio ero libero di fare quello che volevo. La mia ragazza era sposata e ci vedevamo il giovedì pomeriggio, che era il giorno in cui lei restava sola perché il marito aveva impegni di lavoro fuori città. 

Lei non parlava mai del marito e della sua vita con lui, di cui io non sapevo nulla. Mi aveva solo detto che era soddisfatta del suo matrimonio, ma che per come era fatta lei aveva bisogno di prendersi uno spazio tutto suo, e che solo in questo modo riusciva a trovare l’equilibrio per vivere serenamente quella che definiva la sua esistenza ufficiale. Ci eravamo incontrati per caso in una libreria, dove entrambi avevamo messo la mano sullo stesso libro; ci eravamo guardati, avevamo provato un po’ di imbarazzo e ci eravamo scusati, poi avevamo iniziato a parlare e la cosa era iniziata così. Dopo una settimana lei era venuta a casa mia, alle cinque del pomeriggio, ed eravamo stati a letto insieme finché lei non era dovuta rientrare per la cena. Era una giornata quasi primaverile, con il primo sole di marzo che entrava dalla finestra, e fu il primo dei tanti pomeriggi che scandivano il nostro appuntamento fisso settimanale. 

Il resto della settimana non ci sentivamo mai, se non per qualche breve messaggio nel caso uno dei due non potesse venire all’appuntamento o fosse in ritardo per un contrattempo. Lei lavorava in un'agenzia di pubblicità, e aveva sempre svariati impegni che andavano dalla palestra, alle sedute di yoga, agli incontri con le amiche - oltre, naturalmente, alle cose che faceva con il marito: cene, brevi viaggi per il weekend, shopping o incombenze familiari. Non ci eravamo mai detti di essere innamorati, ma quando eravamo insieme tutto lasciava pensare che lo fossimo; solo che una volta che ci eravamo rivestiti, era come se si chiudesse la porta di una stanza che non si sarebbe riaperta prima del giovedì successivo. 

Io sapevo che nella sua vita c’era un equilibrio rigoroso e preordinato, e che nella sua scala delle priorità io venivo dopo il marito, il lavoro, la palestra, lo yoga e qualche volta le amiche. Se ci pensavo me ne dispiacevo, e i primi tempi non riuscivo a fare a meno di pensarci. Poi cercai di evitarlo, e scoprii che se non ci pensavo, o almeno non ci pensavo troppo, la cosa non era poi così male. D’altronde anch'io ero occupato con il mio lavoro, e durante il weekend me ne tornavo a casa dove avevo sempre qualcosa da fare. 

A letto, oltre a fare l’amore, parlavamo molto, e ogni volta ci sorprendevamo di avere così tante affinità e di pensarla allo stesso modo quasi su tutto. Ci piaceva la stessa musica, leggevamo gli stessi autori e guardavamo gli stessi film, e di queste cose riuscivamo a conversare per ore. Quando uno dei due scopriva di non aver letto un libro o ascoltato un disco che l’altro aveva descritto con passione, se lo procurava e invariabilmente non restava mai deluso. 

Ci incontrammo tutti i giovedì per quasi sei mesi, poi il mio lavoro in quella città si concluse e mi richiamarono alla sede centrale. Con la mia ragazza rimanemmo d’accordo che sarei tornato subito dopo le vacanze estive per vederla. La sua città era raggiungibile con poche ore di treno e non era un viaggio impossibile, anche se non avrei potuto farlo con la stessa frequenza con cui ci incontravamo quando vivevo a due passi da lei. Invece accadde che ci furono alcuni miei impegni di lavoro improrogabili e una serie di problemi in famiglia che non mi permisero di tornare nella sua città nei tempi che mi ero prefissato, e quando finalmente riuscii a programmare il nostro incontro era già ottobre inoltrato. 

Arrivai con il treno il giovedì mattina e andai subito nell’albergo in cui avevo prenotato una stanza. Mi feci una doccia, mi cambiai indossando abiti leggeri, perché era una giornata calda, poi inviai un messaggio dal telefono alla mia ragazza attendendo che mi rispondesse. Passarono alcune ore e non ci fu nessuna replica. Mi parve strano, perché avevamo concordato la data da un paio di settimane e ci eravamo dati conferma la sera prima che io partissi. Andai a pranzo, poi le inviai ancora un paio di messaggi chiedendole se ci fosse qualcosa che non andava. Dopo una decina di minuti dall’ultimo dei due messaggi lei mi telefonò. 

"Meno male, ero preoccupato. E’ tutto a posto per oggi pomeriggio?" 

"Sì. Cioè, no. Sono successe alcune cose."

In sottofondo si sentivano dei rumori, lei doveva essere in macchina nel traffico o in un luogo affollato. La sua voce, però, era tranquilla come sempre. 

"Che genere di cose?"

 "Ho avuto un imprevisto. Volevo dirtelo prima, ma ho aspettato fino all’ultimo perché pensavo che sarei riuscita a liberarmi."

Cominciai a sentirmi in ansia e sperai che il marito non avesse scoperto tutto. 

"Un imprevisto?" 

"Nulla di grave, stai tranquillo. Ma ho avuto un problema con la caffettiera che si è guastata, e oggi pomeriggio devo andare a ricomprarla."

 "Tutto qui? Possiamo andarci insieme."

"No, non è così semplice..."

La sua voce fu interrotta dalla sirena di un’ambulanza. Quando il rumore fu passato lei riprese a parlare: 

"...Devo andare a prenderla in un centro commerciale fuori città, impiegherò un po’ di tempo. Mi dispiace, non possiamo vederci."

Ero incredulo. 

"Per una caffettiera? Per questo non possiamo vederci?"

"Ma non capisci, è un modello particolare che non si trova facilmente. Mio marito riesce a bere il caffè solo se lo faccio con quel tipo di caffettiera, per cui devo ricomprarla entro stasera. Insomma, il negozio apre alle quattro e mezza, devo arrivarci e mi ci vuole più di un’ora. Poi devo portarla a casa, e dopo sarà troppo tardi per incontrarci."

Rimasi in silenzio ad ascoltare le sue parole, mentre nel sottofondo continuavo a sentire le voci e i rumori del traffico. 

"Ci sei?" chiese lei dopo un po’ che non mi sentiva parlare. 

"Sì, ci sono. Quindi non possiamo vederci."

"No. Te l’ho detto, mi dispiace, ma non potevo saperlo." 

Misi insieme qualche parola per dire che dispiaceva anche a me e chiusi il telefono mentre lei mi salutava, troncando a metà la sua frase che mi diceva che avremmo avuto altre occasioni. Rimasi seduto sul letto della mia stanza d’albergo con il telefono in mano, senza sapere cosa fare. Erano quasi le quattro. Sapevo di venire dopo il marito, dopo il lavoro, dopo la palestra, dopo lo yoga e anche dopo le sue amiche, ma ora scoprivo di venire anche dopo la caffettiera. Non era una bella sensazione. Mi guardai intorno e mi chiesi che cosa facevo in quell’albergo e che cosa ero andato a fare in quella città. Non potendo fare altro rimisi le mie cose nella borsa da viaggio, pagai la stanza e me ne tornai a casa con il primo treno. 

Quando fui a casa mi feci una lunga doccia, indossai una maglietta e dei pantaloncini e mi sedetti sul divano. Sul telefono non c’erano messaggi o telefonate della mia ragazza. Misi un disco dei Thievery Corporation e lo ascoltai due volte di seguito, ad occhi chiusi. 

Poi, una volta che il disco fu terminato, mi sedetti al computer e aprii il sito di un negozio online sul quale facevo spesso acquisti. Digitai “caffettiera” e mi apparvero decine di articoli corrispondenti alla mia ricerca. Esaminai con cura tutte le caffettiere, leggendone le caratteristiche, e alla fine scelsi un modello che mi piaceva particolarmente. Non sapevo se era quella che faceva quel caffè tanto speciale che piaceva al marito della mia ragazza, ma non aveva importanza: era cromata di rosso, grande abbastanza per dodici tazze ed era elettrica. Era perfetta per il mio scopo. Misi l’articolo nel carrello, digitai la quantità e completai l’acquisto online facendo spedire uno stock di 24 caffettiere all’indirizzo della mia ragazza sposata. Scelsi la spedizione con corriere espresso, per essere certo che avrebbe ricevuto le caffettiere entro il giorno successivo. 

Così ora sapevo che per la mia ragazza io venivo dopo il marito, il lavoro, la palestra, lo yoga, le amiche e 25 caffettiere. E lo avrebbe saputo anche lei. 

Perché un numero è sempre una certezza.

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