Teoria dei colori

Tutta la verità su di me #4

Amo i colori, ma non tutti. Più precisamente: amo i colori, ma non tutti insieme e indiscriminatamente. Li amo in determinati abbinamenti, in coppie, triadi o quartetti, secondo la saturazione o luminosità, secondo gli accordi, la complementarità o il contrasto. La mia casa rappresenta la mia visione cromatica, con i tre colori primari. 

La mia stanza da letto è rossa. Le lenzuola sono rosse, e così le maniglie della porta, la lampada, i faretti, le pareti, la testata del letto, le tende. 

Il mio studio è blu, tutto completamente blu, compresi i tappeti, il divanetto su cui spesso mi addormento a notte inoltrata guardando le mie serie preferite, la sedia ergonomica, il tavolo, le stampe di Roy Lichtenstein alle pareti. 

E la cucina è tutta verde. Sì, perché io lavoro sul web, e la mia casa è RGB. Il mio rosso non è magenta, il mio blu non è cyan, il terzo colore primario non è giallo. Per me i colori sono codici esadecimali: l'azzurro ceruleo #00A0E0, il giallo acido #E1E100, il malva chiaro #E29FdE, il verde mare #009F82. E poi ci sono i grigi: gli E1, i D2, gli 8F, a seconda della percentuale di nero che contengono, puri, con i valori RGB tutti uguali, o mescolati ad altre tinte (perché le sfumature di grigio sono 256 e non solo 50, non date retta a certa mediocre letteratura). 

Il mio rosso, #FF0000, è quello che i tipografi chiamano rosso 100

"Diocristo, Alex, ma come fai a dormire in tutto questo rosso?" mi ha chiesto il mio amico Gualtiero la prima volta che è venuto a casa mia. Alcuni quando vedono la mia stanza da letto fanno delle battute a sfondo pornografico o tirano in ballo il Marchese de Sade, e li vedo scrutare il soffitto alla ricerca di chissà quali anelli o catene, il massimo della banalità. Il rosso primario è, semplicemente, il colore. Non potrei desiderare un’altra tinta nella camera in cui dormo - anche se, a dire il vero, non è quella in cui passo la maggior parte del tempo. 

Non amo gli arancioni, i marroni, i verdi scuri: li trovo scostanti e pretenziosi. Sono i colori più diffusi nell’abbigliamento maschile, per questo mi vesto sempre di nero, grigio scuro e a volte, in estate, di blu notte. 

La mia idiosincrasia per certi abbinamenti di colore è iniziata quando ero bambino. Detestavo gli abbinamenti dei colori primari, ed è questo il motivo per cui oggi nella mia casa li ho separati: ciascuno per sé, a regnare incontrastato, dominatore dei suoi secondari e terziari. Parimenti, odiavo alcuni accoppiamenti tra primari e secondari. Il verde con l’arancione, ad esempio. Se mi costringevano a usarli nello stesso disegno mi rifiutavo di colorare, oppure nascondevo il pastello arancione in fondo allo zainetto per non doverlo usare per i petali dei fiori sul prato verde. Un paio di volte ho rifiutato di fare dei siti in cui il cliente pretendeva assolutamente di unire i due colori. Ho perso i clienti, ma ho conservato la mia integrità cromatica. 

Un venerdì sera, mentre me ne stavo nella mia cucina tutta verde a prepararmi un caffè istantaneo, mi ha citofonato Gualtiero. 

“Sto con un paio di amiche, scendi che andiamo a fare un giro e ci mangiamo una cosa insieme.” 

Avevo consegnato un lavoro quella mattina stessa, per quello che avevo in corso dovevo aspettare dei materiali che sarebbero arrivati solo lunedì; perché no? Mi sono messo una felpa e sono sceso. Con Gualtiero c’erano Irene, una ragazza che frequentava da qualche mese, e Chiara, la cugina di lei. Ci eravamo già incontrati un paio di volte; Chiara, così come il suo nome, aveva l’aria delicata e quasi eterea e vestiva un leggero abito beige. 

Abbiamo fatto un giro sul lungolago, poi abbiamo mangiato in una taverna che Gualtiero conosceva bene per via del proprietario. Con Chiara c’era già una simpatia nascente, e quella sera è diventata qualcosa di più. 

Siamo andati a casa mia, le ho fatto ascoltare il nuovo dei Calexico mentre bevevamo un rum agricolo che avevo comprato alla svendita fallimentare dell’enoteca di Via Roma. Lei ha ascoltato la musica mentre guardava le stampe di Roy Lichtenstein. E poi siamo andati a letto. 

Più tardi, abbracciati nel groviglio di lenzuola rosse, abbiamo chiacchierato. 

“Che bello, qui, Alex. Mi piace questa casa: ti rappresenta. E mi piace anche questa stanza.” 

“Sono contento che ti piaccia. E che cosa ti ha colpito in particolare?” 

“Il contrasto. Quelle stanze tutte colorate, lo studio e la cucina. E qui, invece, tutto così soft.” 

Non potei fare a meno di ridere. “Beh, sei la prima a non trovare fastidioso tutto questo rosso.” 

Mi ha guardato con aria interdetta. “Mi stai dicendo che questa stanza non è sui toni del grigio?” 

Adesso ero io ad avere l’aria interrogativa. “Che vuoi dire?” 

“Che io non vedo il rosso. Ho una specie di daltonismo, Alex, pensavo lo sapessi. Vedo tutto i colori ma non il rosso.” 

Vedeva tutti i colori, ma non il rosso. 

Il mio rosso 100, il brillante #FF0000, il supremo 255,0,0. 

Mi sono sentito morire.

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