"Portano Malattie"

Un luogo comune da sfatare
su migranti e  flussi migratori

"Gli immigrati portano malattie", questo luogo comune accompagna ormai da anni l'incremento del fenomeno migratorio in Europa e in Italia in particolare. Ma quanto c’è di vero dietro questa frase? Per scoprirlo abbiamo preso in analisi i dati forniti dallo European Centre for Disease Prevention and Control (ECDC) e relativi a tre malattie infettive di cui spesso si parla con toni allarmistici sui giornali: HIV, tubercolosi e sifilide.


HIV

Secondo il rapporto pubblicato nel 2014 dall'ECDC, i flussi migratori provenienti dall'Africa sub-Sahariana non incidono in modo rilevante sulla diffusione del virus HIV in Europa.


Solo il 2.6% dei nuovi casi sono riconducibili a soggetti provenienti dall'Africa sub-Sahariana, mentre dal 2007 al 2011 l’aumento di incidenza era stato osservato specialmente fra i cittadini provenienti dall’America Latina e dall’Europa dell'Est. Secondo il rapporto, nel 68.3% dei casi l’origine è sconosciuta, mentre nel 24.9% è riconducibile alla popolazione nativa dei paesi dell’area europea.


Guardando al caso specifico dell'Italia, l’incidenza delle nuove diagnosi di infezione da HIV risultava alta nella seconda metà degli anni ’80, quando era stato raggiunto un picco massimo di 26.8 nuovi casi per 100mila residenti nel 1987. Dal 2010 l’incidenza è invece sostanzialmente stabile negli uomini, mentre nelle donne è in leggera diminuzione. Nel 2014 l’incidenza è pari a 6.1 nuovi casi per 100mila residenti. Rispetto all’incidenza riportata dagli altri paesi dell’Unione Europea, l’Italia si posiziona al 12° posto. La più alta è stata osservata nel Regno Unito, quella più bassa in Germania.


Nel 2014 la proporzione di stranieri tra le nuove diagnosi di infezione da HIV è stata del 27.1%, con un numero assoluto di casi pari a 1 002, risultando in calo rispetto all'ultima rilevazione effettuata nel 2006, in cui l’incidenza straniera era del 32.9%. Il 45.1% di stranieri con una nuova diagnosi di infezione da HIV proviene dall’Africa, il 21.4% dai paesi dell’Europa centrale e orientale, il 28.4% dall’America meridionale, il 4.8% dall’Asia, mentre il 6.1% dai Paesi dell’Europa occidentale.


Tubercolosi

#tbcnograzie. Così Beppe Grillo lanciava l'allarme su un possibile ritorno della tubercolosi in Italia dovuto agli sbarchi dei migranti.

Dal 1990 al 2014 il numero annuale di casi di Tbc registrati è passato da 12 247 a 3 600. Il tasso annuale è calato da 25.3 casi per 100mila abitanti a 6, con un decremento pari a circa il 64% del numero di casi.


La percentuale di casi di tubercolosi tra i migranti nei paesi europei è aumentata progressivamente: dal 10% nel 1995, fino al 44% del 2014. Vi sono però significative differenze nel numero di migranti colpiti, a seconda del paese ospitante. Nel 2011, nazioni come Cipro, Islanda, Olanda, Norvegia, Svezia e Regno Unito hanno registrato fino a più del 70% di casi di tubercolosi fra i migranti, mentre altri paesi hanno registrato pochi o nessun caso. In Italia, ad esempio, i casi di tubercolosi tra gli immigrati sono passati dal 10% delle notifiche nel 1990 al 58% nel 2014. Quindi in valori assoluti, nel nostro paese si è passati dai 1 224 immigrati con la Tbc di vent'anni fa ai 360 di oggi.


Stando ai dati sui migranti sbarcati a Lampedusa da marzo a settembre del 2014, su 24mila persone solo 7 sono risultate positive alla Tbc.

Analizzando l'incidenza di casi di tubercolosi notificati a persone nate all’estero rispetto alla popolazione autoctona, si osserva un forte decremento con valori quasi dimezzati nell’arco del ventennio di osservazione, a fronte di una sostanziale stabilità dell’incidenza nel complesso della popolazione. In altri termini, il numero dei casi di Tbc nei migranti aumenta molto meno del loro incremento numerico.


Sifilide

Gli studi effettuati dall'ECDC sulla diffusione di una malattia venerea ritenuta"scomparsa" come la sifilide hanno mostrato, tra il 2010 e il 2014, un lento ma costante aumento nel numero di casi: dai 18 932 (un rapporto di 4.1 soggetti malati per ogni 100mila persone) rilevati nei 29 Stati membri dell’Unione Europea nel 2010, siamo passati ai 24 541 (5.1) del 2014. Dati in controtendenza rispetto alla media italiana più stabile e oscillante intorno ai mille casi annui (1.7).


Nessuno di questi studi ha però approfondito se la causa dell'aumento fosse in qualche modo riconducibile ai flussi migratori provenienti dai paesi del Nord Africa e se, dietro l’affermazione «i migranti portano le malattie», ci fosse un fondo numerico di verità.

A queste domande avevano provato a dare risposta in precedenza altri studi dell'ECDC, basati sulle rilevazioni nazionali raccolte dalla TESSy (The European Surveillance System) durante il periodo 2006/2010. I dati dimostravano una chiara inversione di tendenza rispetto ai 20 533 casi (5.3 ogni 100mila) del 2006 e permettevano di far luce anche sulla situazione dei migranti: di 9 991 casi di sifilide – le informazioni su gli altri oltre 9mila erano inutilizzabili perché incomplete – solo 728 (7.3%) erano riconducibili a migranti, 5 536 erano nativi e di 3 727 non si conosceva il paese d’origine.


Non esistevano dati relativi al caso italiano, tranne due screening risalenti al 2004: il primo compiuto in una regione settentrionale su 365 migranti provenienti da Sud America, Sud-Est Asiatico ed Europa dell’Est aveva riscontrato una positività nel 2.5%; il secondo compiuto invece in un centro di accoglienza del Sud su 529 richiedenti asilo aveva accertato l’1.5% di positività alla sifilide nei soggetti partecipanti. Risultati paragonabili a quelli ottenuti da screening simili in altri paesi europei.


Conclusioni

Gli immigrati non portano malattie e quasi mai rischiano di contagiare i nostri connazionali. Le facili associazioni tra gli sbarchi dei migranti provenienti dall'Africa sub-Sahariana e dal Medio Oriente, e la diffusione di malattie infettive trovano una smentita nelle statistiche. Secondo il rapporto pubblicato dall’ECDC, il maggior numero di casi di contagio o trasmissione di tali malattie sarebbe da riscontrare nella popolazione nativa, mentre quella proveniente da altri paesi inciderebbe solo con percentuali minime sfatando in tal modo il famigerato luogo comune.