La Fine, nuovo indizio 

Nichilismo, rabbia, precarietà: così Cosenza torna sulla scena post hardcore

Sono tre, sono cosentini e sono arrabbiatissimi. Ma fra le pieghe del muro di suono dei loro pezzi, che tanto devono al post- punk italiano di metà anni '80 e all’hardcore che gli Stati Uniti dal torpore negli anni '90, ci sono testi criptici e struggenti, che invitano a scavare dietro le parole. Singolarmente Gianluca Gallo, Stefano Marrone e Francesco De Napoli si sono fatti conoscere sulla scena dell’underground cosentino e non solo, ma insieme suonano da poco più di un anno. E il loro esordio è stato un successo.

Partiamo dall'inizio. Nel giro di poco più di un anno avete deciso di suonare insieme, avete messo insieme i brani per il vostro Ep che è finito nelle mani giuste e vi ha catapultato in studio, avete registrato il disco e vi siete ritrovati a fare un tour in tutta Italia. Significa che il lavoro paga?

Sicuramente il lavoro paga. Lo abbiamo capito più che mai quest’anno, non tanto nella fase iniziale, quando abbiamo messo su il gruppo e l’Ep che è finito nelle mani giuste, perché quello è stato più che altro un caso. E forse senza quel pizzico di casualità nessun progetto si può realizzare veramente. Che il lavoro paghi lo abbiamo capito soprattutto per quello che è venuto dopo: registrare il disco in tempi praticamente record e promuoverlo al meglio, ma soprattutto andare a suonare in giro in tutta Italia, ci sono stati periodi che abbiamo fatto duemila chilometri ogni week end, ma eravamo felicissimi di farlo e in questo bisogna dire che il lavoro paga sicuramente.

È stata un’agenzia ad aiutarvi a chiudere delle date?

Non abbiamo una agenzia di booking quindi abbiamo fatto e facciamo tutto da soli, la cosa fondamentale è stata quindi la voglia delle persone di chiamarci per farci suonare nella loro città dopo aver ascoltato il disco e la nostra voglia di metterci in furgone e attraversare l’Italia in lungo e in largo per mesi.

Tutti e tre avevate progetti musicali precedenti, cosa vi ha spinto a mettervi insieme per fare qualcosa di diverso?

Si, veniamo tutti da passate esperienze musicali e sicuramente la molla principale che ci ha portato a suonare insieme è stata l’amicizia che ci lega, avevamo in mentre di mettere su un trio hardcore da tempo, infatti nella nostra testa La fine è sempre esistita, poi quando i tempi lo hanno consentito abbiamo deciso di concretizzare questa idea. Siamo amici da anni e sin dalla prima prova è stato come se suonassimo insieme da sempre, quando si dice il destino.

A partire dalla lingua, avete scelto un sound molto diverso da quello dei gruppi in cui stavate. Perché?

L’hardcore, il post punk e tutto quel filone li a noi è sempre piaciuto, a partire dai padri Fugazi fino agli italiani che hanno fatto scuola come i Negazione, passando per tantissimi gruppi Emo e band post punk inglesi che amiamo moltissimo, sono tutti ascolti che fanno parte del nostro bagaglio culturale. Nei precedenti gruppi, alla fine come succede sempre, ognuno porta la sua personalità e mescolandole un po’ esce il risultato finale, e così è stato anche per noi, La fine in realtà nasce ideologicamente come side project inspirato a roba molto più pesante, poi quando ci siamo trovati a buttare giù i primi pezzi ci siamo resi conto che per noi avevano molto importanza le canzoni prima di tutto, e il risultato è stato qualcosa di molto lontano dalle intenzioni iniziali, ma che sicuramente ci rappresenta molto di più. Ad influire su questo è stato sicuramente la scelta della lingua, il confrontarci per la prima volta con l’italiano è stata una cosa nuova e bellissima. Quando canti nella tua lingua quello che dici si capisce subito, viene recepita immediatamente da chi ti ascolta, la poetica comincia ad avere un ruolo preponderante nelle canzoni, probabilmente le liriche sono la componente fondamentale che fa innamorare le persone di una canzone.

FOTOGRAFIA "SCONTENTA" DI UN TEMPO VILE Un racconto cupo, arrabbiato e convincente di anni precari. Un pugno allo stomaco. Un flusso di domande senza risposta che inciampano sulle precarietà dell'essere umano, incastrato da desiderio di infinito e caducità dell’esistenza, dei sentimenti, di condizioni e relazioni. C’è tutto questo nel disco con cui i La Fine si sono presentati al pubblico italiano e non solo. E il pubblico sembra davvero aver gradito.

“Scontento” è il primo album i La Fine: ne siete soddisfatti?

È un disco venuto fuori di getto, dopo pochi mesi che abbiamo messo su il gruppo abbiamo registrato in casa una demo di 4 brani, i primi 4 brani che avevamo oltretutto, e queste tracce sono circolate nel web, sono arrivate a tante persone e addetti ai lavori, e sembravano tutti entusiasti di quello che stavamo facendo. Così piano piano sono arrivate le prime richieste da parte di etichette e di promoter riguardo il disco, è iniziata a crescere un po’ di attenzione intorno al gruppo, e a un anno dalla nascita, con i primi 7 brani che avevamo composto siamo andati all’igloo audio Factory da Sollo (Andrea Sologni dei Gazebo Penguins) e in due giorni abbiamo registrato quello che è Scontento. Nonostante sia stato fatto tutto di getto, senza molti retropensieri, sia la composizione che la produzione, siamo molto soddisfatti di come è venuto il disco e di come è stato accolto. Abbiamo avuto solo recensioni positive sul web e ottimi voti su tutte le riviste di settore, e questa cosa oltre a farci piacere ci spaventa anche un po’, l’ansia del secondo disco dopo un esordio accolto così bene è sempre dietro l’angolo.

C'è già un secondo disco in preparazione?

Stiamo lavorando molto sul suono che vogliamo per il prossimo disco e abbiamo un paio di pezzi finiti che a volte suoniamo anche dal vivo e delle idee da concretizzare ma un vero e proprio album ancora non c’è. Non ci siamo fermati un attimo da quando è uscito il disco e per capire come sarà il secondo dovremmo farlo. Come è stato per Scontento, quello che scriviamo è un po’ la fotografia di quello che ci sta accadendo e di quello che siamo, e per poterlo raccontare abbiamo bisogno di fermarci e capirlo, andando a suonare in giro hai sempre un po’ l’aurea di questi pezzi che ancora ti gira in testa. Le nostre canzoni sono un po’ una seduta di psicoanalisi per noi.

Non possono prendersela con il fato ingrato, non possono lamentarsi dell'ottima accoglienza ricevuta dal proprio primo album, dunque di cosa sono Scontenti i La Fine?

Sicuramente della realtà che ci circonda, che è stato anche il motore che ha fatto si che prendessero forma le canzoni del primo disco. In scontento raccontiamo un po’ quella che è la nostra vita, quello che vediamo intorno a noi, che viviamo sulla nostra pelle. Non parliamo mai di politica perché non ne saremmo in grado e perché non è una cosa che sentiamo ci rappresenti quando scriviamo una canzone, però raccontiamo lo stesso il mondo in cui viviamo, attraverso i nostri occhi, la precarietà emotiva della nostra generazione, il sentirsi persi in un’esistenza che non da possibilità di appigli di nessun tipo, l’alienazione dalla realtà, le storie d’amore che finiscono e i tormenti personali. Insomma tutto quello che le persone della nostra generazione e non, vivono ogni giorno. E forse a pensarci bene è molto politica questa cosa.

Al riguardo, c’è un brano fra quelli del primo album cui i La Fine si sentano particolarmente legati?

Forse "Perché la gente nasce", la traccia che chiude Scontento, che invece è stato il primo pezzo in assoluto che abbiamo composto quando ci siamo trovati per la prima volta in sala prove ed è così da allora, nessun cambiamento, crudo e diretto così come è nato dai primi vagiti di questo gruppo. Eravamo in una fase in cui non avevamo minimamente idea di un eventuale disco e di tutto il resto, non era ancora nei piani nulla, ci importava solo buttare fuori quello che ci pesava dentro e in quel pezzo si sente tutta questa urgenza comunicativa, sia lirica che strumentale, questa disperazione.





WEB E UN FURGONE PER ROMPERE I PREGIUDIZI Calabresi di stanza a Cosenza, i La Fine non sembrano aver patito l'isolamento culturale e logistico che lamentano molti artisti della regione. O meglio, non sembrano essersi mai fatti spaventare dai chilometri da consumare per raggiungere un palco

Siete cosentini ma il vostro mentore è Karim Qqru (batterista di Zen Circus e voce di La Notte dei Lunghi Coltelli) sardo residente a Bologna e avete deciso di registrare il vostro primo disco a Correggio? Scelta libera o obbligata?

Si Karim è stato uno di quegli addetti ai lavori, sicuramente il più importante, a cui è arrivata la demo e rimase entusiasta del nostro suono e dei nostri testi, lui oltre ad essere un grande musicista è un grande appassionato del genere e avere la sua stima è stata una delle molle che ci ha spinto a registrare il disco, ci disse che aveva messo su un’etichetta e che gli interessavamo così non ci abbiamo pensato due volte e siamo andati a registrare Scontento. Riguardo la scelta di registrare il disco a Correggio è stato indubbiamente mossa dal fatto che Sollo con il suo studio era ed è tutt’ora un punto di riferimento per determinate sonorità, I Gazebo Penguins sono una di quelle band che ha fatto da apripista a gruppi come il nostro, quindi fare produrre il disco da lui è stata una scelta quasi naturale, sapevamo che avrebbe saputo interpretare e catturare il nostro suono al meglio e così è stato. Poi è nata anche una bella amicizia tra noi, infatti gli invadiamo notte tempo lo studio ben volentieri quando dobbiamo spezzare lunghi viaggi in tour.

Quanto è difficile per una band calabrese farsi strada sulla scena nazionale?

Il problema non è tanto quindi farsi conoscere o promuovere il proprio gruppo tanto quello di promuovere il disco, e per promozione intendo soprattutto il suonare in giro. La Calabria è molto decentrata rispetto ai punti nevralgici della scena indipendente italiana, quindi andare a suonare nei posti dove si ha più visibilità di pubblico per un gruppo di giù è più difficile. Una band di Milano o di Roma o di province vicine, ad esempio, riesce a suonare in grossi club molto più facilmente per il semplice fatto di essere in una determinata città da sempre o perché conosce personalmente molti addetti ai lavori, per noi invece è più difficile fare tutto questo, perché dobbiamo fare più strada sia proprio praticamente, con i km che ci dividono, che in senso lato perché dobbiamo arrivare da soli a determinati contatti e dimostrare di più, essendo degli sconosciuti che spesso vanno a suonare in una città a più di mille km di distanza per la prima volta.

Il vostro percorso dimostra però che si può fare

Quello che è successo con Scontento ci riempie di tantissimo orgoglio, in neanche un anno abbiamo suonato in tantissime città anche per più volte, e quando ritorniamo in alcuni posti ci sono tanti amici che ci hanno visto suonare la prima volta che vengono ad abbracciarci prima e dopo il live, e sentirsi a casa in luoghi che distano più di mille chilometri dalla tua di casa è qualcosa di indescrivibile.

Esiste una scena calabrese?

Ormai parlare di scena calabrese non ha più tanto senso, non perché non esista ma perché chi suona in giro ormai deve sentirsi di fare parte di una grande unica scena che è quella italiana. Ormai con internet è tutto molto relativo, viviamo tutti in questo non-luogo che è il web e le distanze rispetto a dieci anni fa si sono notevolmente accorciate, se non del tutto sparite. Noi ne siamo l’esempio lampante, senza internet non sarebbero mai circolati i pezzi come è stato e tutto il resto.

Cosa manca alla Calabria perché il circuito locale abbia maggior respiro?

Sicuramente c’è bisogno di dialogare tra circuiti lontani tra loro, c’è bisogno che i gruppi calabresi si sentano parte di una grande e unica scena che è quella italiana come dicevamo prima, noi ci siamo sentiti da subito parte di qualcosa che andava oltre i confini della nostra città e questa forma mentis ha sicuramente aiutato a portare avanti il gruppo per come è stato. Dall’altra parte sono i grossi centri musicali a dover fare uno sforzo per smettere di vedere quello che viene dalla provincia, soprattutto quella del sud, come qualcosa di lontano e difficile. Noi non abbiamo un’agenzia che si occupi delle date, perché quando siamo usciti tutti pensavano che un gruppo calabrese avrebbe avuto difficoltà logistiche a suonare in posti magari molto lontani, e invece da Udine a Palermo siamo andati a suonare ovunque senza nessun problema, quindi questo ti fa capire che ci sono ancora molte riserve su alcune cose. Ma chi ha davvero voglia queste riserve le infrange di forza, con il lavoro di cui parlavi tu all’inizio.

Alessia Candito - a.candito@corrierecal.it

(fotografie Giada Miscerù)