CALABRIA OFF | (AllMyFriendzAre)DEAD: Quali meraviglie dalla tomba?

Che gli (AllMyFriendzAre)Dead siano una band – e di quelle vere – in cui il singolo perde quasi la sua identità per diventare parte di un corpo unico, che si muove come un solo uomo, lo si capisce subito. Si rubano la parola, a vicenda si completano le frasi, perché in comune c'è un percorso che è diventato non solo storia, ma pensiero collettivo. Hanno alle spalle nove anni di palchi e di tour, migliaia di chilometri macinati per andare a suonare in ogni punto dello Stivale e tre album che hanno raccontato al mondo cosa gli (AllMyFriendzAre)Dead ne pensino di lui. 

NOVE ANNI DI (AllMyFriendzAre)Dead

Reggini di nascita o di adozione, FranTz (voce) Succo (batteria) MeltedMan (basso) Gicass (chitarra) El Pez (chitarra) Elmore Penoise (chitarra+organo), in vista del decimo compleanno – previsto per il 2016 – si sono regalati il loro terzo album , Wonders from Grave, e Pray to play tour con cui lo stanno presentando all'Italia. Prossima tappa, il 1 novembre quando agli (AllMyFriendzAre)Dead toccherà aprire il concerto di una delle band che si è ritagliata un posto di primo piano nell’underground nazionale, il Teatro degli Orrori, al Colorfest di Marcellinara. Risultati importanti, che forse nove anni fa non avrebbero neanche immaginato.

Cos'erano e cosa sono diventati gli (AllMyFriendzAre)Dead?

Frantz: Come ogni progetto l'idea è nata un po' per gioco ed un po' per necessità, per strappare alla giornata che fagocita tutto uno spazio dedicare alla musica, alla band. Succo: Siamo partiti dalla saletta di casa mia. Frantz basso e voce, io alla batteria. C’erano molte birre e due persone. Quel primo giorno Frantz se ne è arrivato con un fogliettino su cui c’era scritto(AllMyFriendsAre)Dead e mi ha detto «noi siamo questi qua». Eravamo solo due, non avevamo mai suonato insieme, però nell’approssimazione più totale i pezzi uscivano. Per varie vicissitudini abbiamo cambiato saletta, siamo andati all’Ebola room dove abbiamo incontrato il Pezzente, anzi abbiamo invitato il Pezzente. El Pez: e hanno finito di scherzare

E con l’arrivo del Pez cos’è cambiato?

Frantz: Alcuni dei brani nati in due sono stati perfezionati ed arrangiati con al nuova formazione per poi finire in Hellcome, il nostro primo album. Poi è arrivato Giancarlo, l’altra chitarra, quindi per fortuna ho smesso di suonare il basso quando è arrivato MeltedMan, altrimenti saremmo rimasti a quei due accordi che sapevo fare. Succo: e dillo forte per favore «per fortuna ho smesso di maltrattare il basso». Frantz: sì, cambiava la dinamica e la velocità ma gli accordi erano sempre quelli. La band è arrivata a essere completa nel 2008. Poi 2 anni fa abbiamo avuto un nuovo cambio di formazione a causa della vita quotidiana che ti obbliga a spostarti da questa terra: Gicass si è trasferito a Genova e lo abbiamo sostituito con un amico e un bravo chitarrista, Elmore.

Oggi cosa sono diventati i Dead rispetto a quell’idea iniziale?

El Pez: Una cosa totalmente differente. Dal punto di vista musicale, si è partiti con il punk più grezzo possibile come unico riferimento e ci siamo evoluti. Frantz: nel corso del tempo si è unita l’esperienza musicale di ognuno perché comunque il processo compositivo passa dall’esperienza e dal background di tutti e cinque. Non c’ nessuno che componga e poi si presenti in sala dicendo «questo pezzo è così». I brani nascono in sala. Arriva un riff e ognuno si lavora le proprie parti. Per questo ogni pezzo è l’amalgama di tutte e cinque le nostre esperienze e non la visione del singolo.

Di voi dicono «gli (AllMyFriendzAre)Dead sono uno dei pochi gruppi che si possa vantare di avere il pregio di non somigliare a nient’altro che a se stessi». Quali sono le caratteristiche che hanno fatto dei Dead i Dead?

MeltedMan: Una delle cose fondamentali è che ognuno di noi ascolta generi diversi e tutti abbiamo una mentalità piuttosto aperta. Non ci fossilizziamo su un’unica scuola di pensiero. Avendo metabolizzato diversi ascolti, diverse ispirazioni e quando si miscela tutto in fase compositiva, il risultato è un sound deciso che racchiude tutte le nostre esperienze. Se da una parte sembra la cosa più naturale, dall'altra è qualcosa di veramente unico. Frantz: Un riff rock and roll diventa punk, ma un riff punk può trasformarsi in sabbioso, stoner e desertico... può succedere di tutto. L’intenzione di base viene stravolta in funzione di come il pezzo cresce in saletta con il contributo dei vari membri della band. Se sezioni i pezzi puoi trovare dei riferimenti, ma messi insieme con quest’amalgama, quello che sentirai è il sound degli (AllMyFriendzAre)Dead.

CALABRIA INFELIX, TRA VECCHIA GUARDIA E GIOVENTU' PIGRA

Questo territorio quanto ha influito sugli (AllMyFriendzAre)Dead gruppo e sul suo sound?

Elmore: Tutta la rabbia che c’è nella nostra musica probabilmente dipende dal fatto che esci di casa trovi mille motivi per incazzarti. Sicuramente suonare una musica d'impatto ti aiuta a sfogarti e il territorio in questo c’entra perché Reggio Calabria non una terra è facile, non da possibilità, non da margini, né professionali né musicali. Arriviamo sul palco incazzati. Quando suoniamo però scompare tutto. Frantz: Quando ci incontriamo per suonare, per fare le prove, per stare insieme, per fare le centinaia di chilometri che ci separano dal prossimo concerto, in quel momento si abbassa la serranda sul mondo e si apre il cantiere degli (AllMyFriendzAre)Dead. E nel cantiere ci troviamo a scherzare come bravi operai, ma siamo sempre coscienti del fatto che stiamo lavorando per costruire qualcosa.

Voi avete tenuto aperto questo cantiere per dieci anni in un territorio come questo. Quali sono le maggiori difficoltà che una band come la vostra incontra oggi a Reggio e in Calabria?

El Pez: Quanti locali ci sono oggi che facciano musica dal vivo? C’è stata un’involuzione nella scena musicale reggina. Quando da Messina mi sono trasferito a Reggio, alla fin degli anni Novanta c’erano cinque, sei locali che proponessero musica dal vivo, diversi promoter in grado di portare gruppi come i Thee STP o i Loose, giusto per dire i primi due che mi vengono in mente, oggi tutto questo non esiste. Il problema principale però forse non è solo la mancanza di luoghi in cui esprimersi, ma la mancata rigenerazione della scena musicale reggina. Noi siamo tutti over 35 e ci sbattiamo a Reggio da vent’anni, anche prima della nascita degli (AllMyFriendzAre)Dead. Invece di crescere, qui è scemato tutto. Forse il problema Reggio è relativo, perché è la scena musicale indipendente italiana che non esiste più: se guardi le dinamiche di quello che oggi spacciano per indipendente spesso trovi le stesse logiche del mainstream ma con meno soldi sul piatto.

Rispetto alla realtà reggina però realtà come Cosenza o Lamezia sembrano muoversi bene, o quanto meno meglio, in termini di proposta..

El Pez: A parte qualche piacevole eccezione, spesso anche in regione i musicisti sono gli stessi da dieci/quindici anni, suonano solo in altri gruppi. Non c’è l’avvicinamento da parte dei ventenni. Quindi un gestore di un locale, che ha bisogno di garantirsi un incasso, tarerà l’offerta su quei ventenni che ascoltano tutt’altro genere o che sono così pigri o poco curiosi da non voler sapere cosa si muova nel loro territorio. Frantz: «La colonna sonora di quando esco a bere una birra con gli amici è assolutamente indifferente». Questo è l’approccio di troppi ventenni ed è totalmente sbagliato. Certo non generalizziamo, qualcuno ancora interessato c’è, ma purtroppo è molto, molto complicato. Sono delle mosche bianche. El Pez: In Calabria c’è un’anomalia culturale: qui non esistono gruppi punk, che in teoria è l’approccio naturale alla musica di un certo tipo. È molto più facile trovare cantautori, gente "impegnata", gruppi “interessantissimi” e alla moda, tutti sembrano avere tante cose da dire ma nessuno non avere più l'esigenza di suonare e spaccare tutto, come ogni gruppo punk, rock o almeno “alternativo” che si rispetti.

LA DURA VITA DELL'UNDERGROUND NELL’ERA DI XFACTOR

Questa anomalia secondo voi a cosa è dovuta?

Frantz: Sicuramente c’è una mancanza di riferimenti storici. Quando noi eravamo più ragazzini – forse perché non era così facile riuscire ad accedere a determinate informazioni, a determinate band – cercavamo il contatto, il confronto con chi ne sapeva di più. C’era chi ti passava un disco, una cassetta, ci parlavi, scoprivi qualcosa del gruppo. Oggi con internet sembra tutto talmente tanto a portata di mano che non hai più nessuna guida, un riferimento, uno stimolo. El Pez: In realtà la pigrizia c’entra sempre. Noi avevamo scene che erano un vanto mondiale, come quella Hardcore di Torino dove c’era chi si produceva da sé, si faceva le locandine da sé. Oggi tutto questo sarebbe anche più facile, ma c’è tanta pigrizia e poca curiosità. E il cambio generazionale continua a non avvenire. Elmore: È anche un problema di appiattimento culturale, laddove il parametro di giudizio è X-Factor.

Secondo voi, perché i talent hanno cannibalizzato la scena musicale?

Elmore: il ragionamento intrinseco ai talent e ai reality in generale - cioè che tutti possono arrivare alla celebrità, come se la celebrità fosse un valore in sé o un punto di arrivo - è drammatico. El Pez: A me questa cosa non meraviglia perché in Italia si ragiona come se tutto fosse un campionato di calcio. Tu come fai a stabilire se è meglio un Munch o un Klimt?

Questo appiattimento sui talent e sul prodotto musicale che viene fuori da quel tipo di format è un fenomeno solo italiano?

El Pez: Io credo proprio di sì. Nel nord Europa ci sono delle scene molto forti che ormai sono divenute storiche Frantz: per intenderci, in Norvegia i pezzi blackmetal fanno da colonna sonora allo spot delle caramelle Elmore: negli Stati Uniti, il Letterman porta i Mastdon, i Sonic Youth, At The Drive In... ma da Fazio non abbiamo ma visto in trasmissione band come i Fuzz Orchesta o gli Zu. Anche negli altri paesi ci sono i talent, ma solo in Italia c’è l’appiattimento sui talent. Frantz: In Italia passa l’idea che ci sia solo questo modo di fare le cose, solo quest’opportunità. Molto è dovuto alla disperazione del popolo italiano che punta sul figlio calciatore o musicista per fare soldi. Che gioca al lotto, scommette su ogni partita di ogni sport o gratta e perde sperando nella botta di culo che un giorno lo tirerà fuori da sto schifo. È questo l’appiattimento culturale. Conta solo competere per avere un posto in squadra, per salire sul palco di X-Factor. Andare su un palco perché hai bisogno di suonare la tua cosa (che poi potrebbe essere quel sentimento condiviso che fa della tua cosa la cosa di tanti) non importa più, conta solo quello che ti permette di ricavarci dei soldi.

Un gruppo come gli (AllmyfriendzAre)Dead, o come altri che hanno rifiutato queste logiche, cosa possono fare per cambiare la situazione?

Frantz: Noi possiamo solo continuare a suonare, scrivere sulle locandine del concerto che si tratta di una rock'n'roll band di Reggio Calabria. Per i ragazzi che iniziano a suonare può essere uno stimolo, può fargli passare per la testa che questa cosa si può fare. Elmore: Attenzione però non è detto che sia compito nostro "cambiare le cose". Sarebbe come chiedere ad un imbianchino di sistemare un tubo che perde. Chi vuole suona. Magari ce ne fossero di più. Attualmente i gruppi che a Reggio Calabria abbiano un progetto concreto, un programma di lavoro, sono quelli della cosiddetta vecchia guardia. El Pez: Ci sono ragazzini che iniziano adesso a suonare che già pretendono un certo cachet per muoversi da casa. Inizialmente, noi abbiamo fatto chilometri e chilometri solo per fare musica, oggi vogliono tutto e subito. Mettono sul piatto like o visualizzazioni come se fosse un biglietto da visita o una certificazione di valore.

D’altra parte però ci sono gruppi giovanissimi che sono disposti a pagare pur di aprire il concerto di band già affermate pur di avere un po’ di notorietà..

El Pez: Io non me la prendo con il gruppo, ma con il sistema che crea il meccanismo del Pay to Play. Personalmente lo reputo sbagliato, ma ognuno con i propri soldi fa ciò che vuole. Il problema è che c’è gente che permette ai gruppi di farlo. È come se punissi con la stessa durezza lo spacciatore e il drogato. È facile beccare il ragazzino con la canna in tasca, è più difficile andare a colpire un sistema mafioso. Frantz: C’è da dire però che il mercato è alimentato da chi va a suonare. Non si tratta di criminalizzare chi compra gli slot, ma far capire che non comprando lo slot puoi fare in modo che chi li spaccia debba cambiare sistema perché non glieli compra nessuno. Melted Man: Anche perché parliamo di musica che vuole essere underground, quindi in teoria dovrebbe andare contro questi sistemi.

NUOVO ALBUM, NUOVO TOUR, NUOVO VIDEO, MA IL FUTURO E' GIA’ IN CANTIERE

Voi slot non ne avete mai comprati, ma sui palchi di tutta l’Italia ci siete arrivati lo stesso. Siete reduci da un primo minitour di presentazione del vostro ultimo album Wonders From the Grave. Come è stato accolto?

Frantz: Il riscontro è stato assolutamente positivo. Ci fa piacere vedere che il lavoro viene apprezzato da chi, ascoltandolo, capisce che dietro alla musica,dietro ad ogni riff, dietro alle urla c’è tanto cuore. La cosa è più evidente se vieni a sentirci live: non possiamo immaginare recensione migliore di quella di proprietario di un locale che, stupito e sorridente, a fine concerto si avvicina solo per dire «e chi se l’aspettava una roba del genere?».

E adesso dove sperate che vi porti Wonders from the Grave?

Frantz: Abbiamo una serie di date in programma. Il 1 novembre a Marcellinara apriremo il concerto del Teatro degli Orrori. Giorno 7 invece presenteremo il disco al centro sociale Cartella di Reggio Calabria, in collaborazione con il collettivo (L)imitazione. Stiamo lavorando a un videoclip e speriamo di riuscire a tirare fuori il meglio al più presto, ma non abbiamo fretta. Da indipendenti, non abbiamo il vincolo di uscire in fretta o in contemporanea con un singolo. Ci possiamo permettere il lusso di aspettare il tempo necessario perché esca al meglio, rifletta quello che il pezzo voleva dire, aggiungendo delle idee visive. Speriamo che quest’onda duri il più a lungo possibile, ma stiamo già lavorando per il futuro. Ci sono già dei pezzi nuovi, su altri stiamo lavorando. Uno dei pezzi nuovi, Apocalypse Wow, potete ascoltarlo nella compilation Calabrian City Rockers curata da Vladimir Costabile.

C’è una compilation rock calabrese, quindi un po’ di rock in Calabria esiste

Frantz: In realtà nella compilation, come in Calabria, c’è un po’ di tutto. C’è il rock, c’è il cantautore, c’è l’elettronica. Quello che non c’è più è la scena ma torneremmo al discorso degli spazi in cui una scena dovrebbe evolversi. Non esiste una scena rock perchè non c'è un locale che faccia rock, non c'è una scena metal perchè non ci sono locali che propongano principalmente metal. Esistono tante persone che si sbattono per la "proposta musicale originale", persone che ringraziamo sperando che anche grazie al loro impegno possano esserci delle evoluzioni. È un po’ quello che ripetiamo quando ci parlano del concetto di musica calabrese, che per i più vuol dire tarantella e poco altro. È vero, è la musica delle radici e ne conosciamo l’importanza, ma se la radice rimane tale non porta a nulla. L’alfabeto è la radice della lingua italiana, ma il linguaggio con cui gli esseri umani adulti si esprimono è infinitamente più complesso. Le radici devono essere coltivate perché nasca una pianta, quella pianta deve fare frutti e i frutti devono portare a un nuovo ciclo di produzione. Le radici sono importanti, ma non ci si può fermare alle radici. Altrimenti nessuno mangerebbe nulla.

Alessia Candito - a.candito@corrierecal.it

(fotografie: Giada Miscerù, Peppe Pascale, Francesco Algeri)