2015 | Uno scandalo dopo l'altro

Cronaca e politica si scambiano i ruoli. Scontrini farlocchi e assunzioni clientelari. E i clan, intanto festeggiano a New York

Alcune storie sono fili che connettono la cronaca e la politica. Altre iniziano nella Locride e ti portano al centro del mondo: a New York, dove la grande finanza banchetta e la 'ndrangheta importa droghe e capitali. Tra cronaca e politici si muovono i personaggi della Rimborsopoli del consiglio regionale. Sono rappresentanti delle istituzioni che, per la Procura di Reggio Calabria, hanno barato sugli scontrini. E che dire delle assunzioni di Calabria etica: qualche centinaio di calabresi hanno preso servizio alla vigilia del voto del 2014. Adesso la fondazione va verso la liquidazione mentre la Procura di Catanzaro spulcia atti e contratti firmati dall’ex presidente Pasqualino Ruberto. È lungo l’elenco degli scandali calabresi che si sono consumati nel 2015. Il nostro è un resoconto che non pretende di essere esaustivo.

1. Rimborsopoli: una storia(ccia) di scontrini 

Purtoppo per la politica calabrese, la sua immagine-simbolo del 2015 rischia di essere il frame di una videocamera di sorveglianza del consiglio regionale. La stessa videocamera che riprende un collaboratore di Giovanni Bilardi mentre riporta, in tutta fretta, un televisore nelle stanze dell'Astronave. Quel televisore, acquistato con i fondi dei gruppi consiliari, sarebbe stato usato per scopi privati. Nell’inchiesta che ha fatto cadere la prima giunta Oliverio c’è di tutto. Una "Rimborsopoli" che non ha risparmiato nessuno. Destra, centro e sinistra: tutti impegnati a spendere a carico dei contribuenti anche quando non avrebbero dovuto. È uno scandalo a doppia corsia: la cronaca influenza la politica. Il provvedimento della Procura di Reggio Calabria mette nel mirino tutta la prima giunta del governatore. Per alcuni – come Carlo Guccione e Vincenzo Ciconte – le posizioni sono più marginali. Per Nino De Gaetano scattano gli arresti domiciliari. Tutti lasciano l’esecutivo costringendo Oliverio a ripartire da zero. Sono tantissimi i big nel mirino. Domiciliari per l’ex assessore ai Trasporti Luigi Fedele, divieto di dimora in Calabria per Nicola Adamo, consigliori del presidente della giunta regionale e ras del centrosinistra cosentino. Continuerà a sbrigare faccende politiche da Roma, dove è stato spedito proprio per l’eccessivo potere di indirizzamento che aveva sulle decisioni calabresi.

2. Calabria etica, storia di elezioni e di clientele 

Centinaia e centinaia di assunzioni dal neanche troppo vago sapore clientelare. Alla vigilia delle elezioni regionali 2014, e a pochi mesi dalle amministrative di Lamezia Terme, Calabria etica – una tra le più importanti fondazione in house della Regione – diventa un "lavorificio" che nemmeno la Fiat. È il Corriere della Calabria, a gennaio, a svelare lo scandalo. La politica, sostanzialmente, tace; la giunta regionale, intanto, commissaria la fondazione. La Procura di Catanzaro non perde tempo e apre un'inchiesta. Tra gli indagati figura anche l'ex presidente di Ce e candidato alle elezioni di Lamezia, Pasqualino Ruberto. L'ipotesi è che abbia commesso i reati di abuso d'ufficio e peculato. Ricevono avvisi di garanzia anche l'ex dg del dipartimento Lavoro, Vincenzo Caserta, e altre 11 persone, tra membri delle commissioni esaminatrici (che avevano condotto le selezioni dei nuovi collaboratori della fondazione) e del Collegio dei revisori dei conti. È un terremoto di proporzioni enormi, che getta una luce inquietante su tutti gli enti strumentali della Regione, diventati via via contenitori dei clientes della politica. Il governatore Oliverio ha promesso: nel 2016 saranno avverrà la riorganizzazione. Intanto la magistratura indaga. E non solo su quanto avvenuto a Calabria etica.

3. I pentiti entrano a gamba tesa sulla politica cosentina 

Quattro interrogatori, registrati fra il 12 febbraio e il 20 marzo del 2015, rischiano di sconvolgere la politica cosentina e regionale. Non si salva quasi nessuno. Le parole di Ernesto, Adolfo e Vincenzo Foggetti tirano in ballo tutti gli schieramenti "classici" dello scacchiere. Ci sono le vecchie volpi e i giovani più rampanti, accomunati – secondo il racconto dei tre collaboratori di giustizia – dalla costante ricerca di un rapporto con gli uomini dei clan bruzi. Lo scopo sarebbe, ovviamente, il consenso. E i documenti sono allo studio della Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro alla ricerca di riscontri alle dichiarazioni che ora aleggiano, come un'ombra sinistra, sul centrodestra e sul centrosinistra. Proprio mentre si preparano alla corsa per la successione di Mario Occhiuto alla guida della città. Le frasi contenute nei colloqui verbalizzati nei mesi scorsi raccontano la versione dei tre pentiti sui rapporti tra le cosche dell'hinterland e la politica nell'area urbana. Da Rende a Cosenza, passando per Castrolibero, sono le avvisaglie di quello che – se i riscontri arrivassero – potrebbe essere un terremoto.

4. "Colazione" con Scajola

 Dopo una lunga battaglia predibattimentale è approdato di fronte ai giudici del Tribunale di Reggio Calabria il processo scaturito da un filone dell'inchiesta Breakfast che oggi vede imputati l'ex ministro Claudio Scajola, la moglie dell’ex deputato di Forza Italia Amedeo Matacena, Chiara Rizzo, lo storico braccio operativo del marito, Martino Politi, e la segretaria dei coniugi, Maria Grazia Fiordelisi. A tutti, la procura contesta a vario titolo di aver aiutato Matacena a sottrarsi all’esecuzione di una condanna definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa, nonché ad occultare il suo immenso patrimonio. Mentre il diretto interessato continua la sua latitanza dorata a Dubai, che neanche i nuovi accordi di cooperazione dell’Italia con gli Emirati sembrano essere riusciti a mettere in discussione, le sorti processuali di Rizzo e Politi si sono complicate con la contestazione dell’aggravante mafiosa. Una spada di Damocle che pende anche sulla testa dell’ex ministro, mentre è ufficialmente ai domiciliari a Beirut, in attesa di un nuovo Tdl che rivaluti le esigenze cautelari, l’imprenditore Vincenzo Speziali , accusato di aver tessuto la rete di contatti istituzionali – incluso l’ex presidente libanese Amin Gemayel – necessaria per garantire a Matacena un esilio dorato in Libano. Per gli inquirenti, l’ex deputato di Forza Italia oggi latitante è la «stabile interfaccia della 'ndrangheta, nel processo di espansione dell'organizzazione criminale, a favore di ambiti decisionali di altissimo livello», per questo a mobilitarsi per garantirgli piena libertà e operatività nonostante la i rovesci processuali, sarebbe stato un ampio e variegato network che ha lambito anche l’entourage di Silvio Berlusconi.

5. Un fiume di droga tra due continenti 

Tra maggio e settembre, un'inchiesta coordinata dal procuratore aggiunto Nicola Gratteri e dal pm Paolo Sirleo, in collaborazione con il Federal Bureau of Investigation, individua e disarticola la rete di narcotraffico internazionale che fa capo all’imprenditore calabrese Gregorio Gigliotti. Formalmente insospettabile titolare del noto ristorante newyorkese "Cucino a modo mio", come di una serie di attività di import export di prodotti alimentare, in realtà Gigliotti era il feroce broker di riferimento per le 'ndrine che desiderassero importare cocaina dal Costa Rica. «Una volta mi sono mangiato un pezzo di rene e un pezzo di cuore», lo ascoltano dire alla moglie gli investigatori che annotano, «aveva letteralmente mangiato gli organi di qualcuno come gesto plateale di oltraggio alla vittima». Il suo principale ambasciatore in Calabria era Franco Fazio, fermato quando era in corsa per un posto in consiglio comunale a Lamezia Terme sotto le bandiere della Cdu. Cinque mesi dopo l’arresto di Gigliotti, cadono nella rete tesa dalla Direzione distrettuale antimafia reggina e dalla Fiscalia Adjunta contra la Delincuencia Organizada del Costa Rica, i vertici del potente cartello criminale costaricense che forniva al ristoratore calabrese partite regolari di cocaina destinata agli Stati Uniti e all’Europa.

6. Il calcio è sporco 

La bufera si abbatte sul calcio calabrese e meridionale all'alba del 19 maggio. Il primo risultato tangibile sono i 50 fermi messi a segno dalla squadra mobile di Catanzaro e della sezione operativa della polizia di Stato di Roma. Il secondo è una sensazione: il calcio è sporco, drogato dalle scommesse e coperto dall’ombra della 'ndrangheta. Gli indagati dell’operazione "Dirty Soccer" sono accusati di aver truccato le partite di Serie B, Lega Pro e Serie D. Il campionato dilettanti, secondo l'ipotesi del sostituto procuratore Elio Romano che ha condotto l'operazione “Dirty soccer”, sarebbe stato pilotato da una “cupola” che avrebbe deciso i risultati delle gare, al fine di far vincere la competizione al Neapolis (società di Mugnano, in Campania) e di realizzare vincite con le scommesse sportive. Il tutto all'ombra della cosca Iannazzo di Lamezia Terme. In particolare sarebbero stati Pietro Iannazzo, Mario Moxedano e Antonio Cipparone i promotori e organizzatori del “cartello” che avrebbe stabilito a tavolino l'esito delle gare della Serie D. Moxedano e Cipparone erano, rispettivamente, presidente e direttore sportivo del Neapolis, mentre Iannazzo era consulente di mercato e componente della gestione tecnica del club campano. Ultimo passaggio (ma non per i tifosi): la Vigor Lamezia retrocessa in serie D e il Catania in Lega Pro. Tutto procede come sempre, fino al prossimo scandalo.

7. Per padre Fedele finisce il calvario 

Il 22 giugno del 2015 finisce l'incubo per Padre Fedele Bisceglia. La Corte d’appello di Catanzaro assolve l’ex frate ultrà cosentino dall’accusa di violenza sessuale ai danni di una suora, che prestava servizio nell'Oasi francescana, la struttura d'accoglienza fondata da Padre Fedele. Condannato, invece, per un solo capo di imputazione il suo ex segretario Antonio Gaudio che dovrà scontare tre anni e quattro mesi di reclusione. Un verdetto tanto atteso quello del secondo processo d’appello dopo che la Cassazione, nell’agosto del 2014, aveva annullato la sentenza della Corte d’appello che aveva condannato il religioso a nove anni e tre mesi, e Gaudio a sei anni e tre mesi.

8. Delitto Lanzino, a caccia di "Ignoto 1" 

6 maggio 2015. La Corte di Assise di Cosenza assolve Franco Sansone e Luigi Carbone per il delitto Lanzino. E Franco, Alfredo e Remo Sansone, per il delitto Carbone. Resta quindi senza volto e senza nome l'assassino di Roberta Lanzino, la studentessa violentata e uccisa il 26 luglio del 1988 sulla strada di Falconara Albanese. Determinante il Dna dell'assassino isolato 27 anni dopo. E sulla base di questa prova scientifica la Procura di Paola ha aperto nuovamente le indagini a caccia di “Ignoto 1”.

9. Scacco al "Principe" De Stefano 

È un provvedimento urgente, ma sembra anticipare un'inchiesta di ben più ampie dimensioni. Il 22 dicembre, per ordine dei pm Giuseppe Lombardo, Stefano Musolino e Rosario Ferracane, la Squadra mobile di Reggio Calabria ferma “il Principe” Giovanni De Stefano, per lungo tempo plenipotenziario reggente dell’omonimo clan e di chi sul territorio si preoccupava di mettere in atto le sue direttive: Francesco Votano, Fabio Salvatore Arecchi, Arturo Assumma, Vincenzo Morabito. A cinque anni di distanza dall’operazione Meta, che ha privato il clan De Stefano del suo vertice e il direttorio dei clan cittadini del capocrimine, una nuova indagine colpisce lo storico clan di Archi. Da quanto emerge – anche grazie alle rivelazioni del neo collaboratore Enrico de Rosa – i De Stefano hanno asfissiato la ditta che si è occupata della ristrutturazione del museo della Magna Grecia fin dal suo arrivo a Reggio Calabria, ma questo – trapela dalla procura – è solo uno dei tanti business su cui il clan di Archi avesse messo le mani.

10. Alla 'ndrangheta piace scommettere 

I clan di Archi hanno messo le mani sul gaming on line, trasformandolo in una gigantesca lavatrice internazionale di capitali sporchi. A svelarlo è stata l'operazione Gambling, coordinata dai pm Giuseppe Lombardo e Stefano Musolino, che ha fatto finire 28 persone in manette e 13 ai domiciliari, ma soprattutto ha portato al sequestro di beni per oltre 2 miliardi di euro, incluse note società di gambling, come Betuniq, e più di 1500 sale giochi e ricevitorie. Sotto i colpi della Dda reggina, ha ceduto un sistema che nella triangolazione fra la Calabria, Malta e diversi paradisi fiscali ha permesso di riciclare milioni di euro. Alla base, c'era uno stratagemma quasi banale che consisteva nella schermatura dell'effettiva natura delle imprese di scommesse e giochi on line, garantita da una serie di società formalmente collocate all'estero, come pure dallo spostamento oltre confine dei server necessari per connettersi al sistema e giocare. Vertice operativo era Mario Gennaro, ex picciotto trasformato in manager dai clan, che dopo l’arresto ha iniziato un percorso di collaborazione. E proprio da lui potrebbero arrivare rivelazioni pericolose tanto per i clan, come per la zona grigia che con il mondo del gambling illegale ha sempre flirtato.

11. Perseo smonta le cosche di Lamezia Terme 

Il pm Elio Romano l'ha definita senza esitazioni una «sentenza storica». Lo ha confortato il verdetto del Tribunale di Lamezia Terme, che ha condannato tutti gli imputati del processo Perseo. Ventuno sono state le condanne inflitte ai presunti affiliati alla cosca Giampà di Lamezia Terme per un totale di oltre 176 anni di carcere. Al netto delle condanne comminate, rispetto alle pene richieste, ha dimostrato di reggere pienamente l’impianto accusatorio nonostante in più occasioni le difese abbiano cercato di smontare la credibilità e la fondatezza delle accuse nate dalle dichiarazioni di collaboratori di giustizia quali Angelo Torcasio, il reggente della cosca Giuseppe Giampà, Egidio Muraca, e il killer del clan Francesco Vasile. L’accusa ha retto anche nonostante la reticenza di diversi imprenditori e commercianti – sentiti in aula quali persone offese dagli atti estorsivi della cosca – e i loro "non ricordo". Un fenomeno che indusse il pm a scrivere nella sua memoria/requisitoria che quella di Lamezia Terme è una collettività impotente che «versa da anni in quello stato di soggezione e succubanza psicologica tipico dei territori sostanzialmente dominati dal potere mafioso, di cui abbiamo avito chiara conferma e riprova anche qui in aula nel corso dell'istruttoria dibattimentale».

12. A Calabria Verde spariscono 33 milioni 

L'ultima porta girevole arriva proprio in chiusura d’anno. Gli ingredienti sono un maxi appalto da 33 milioni di euro, gli scontri tra Calabria Verde e la Regione sulla natura delle procedure di gara e un’inchiesta della Procura di Catanzaro. Una volta miscelati insieme, otterrete l’evaporazione dei fondi europei, un’indagine spinosa, l’impasse amministrative e il silenzio assordante della politica. A qualche settimana dall’esplosione del caso, l’agenzia che ha preso il posto dell’Afor si ritrova senza direttore generale e dal governatore Oliverio – che pure lo aveva promesso – non sono arrivati chiarimenti ufficiali sulla questione. Intanto, la Procura ha messo nel mirino un anno e mezzo di appalti.